Missioni Consolata - Luglio 2023

Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

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3 EDITORIALE ai lettori M C LUGLIO 2023 | MC | La missione sfida i missionari Dal 22 maggio al 20 giugno 2023 quaranta rappresentanti eletti dei Missionari della Consolata sono stati riuniti a Roma nel XIV capitolo generale dell’istituto, un evento che avviene ogni sei anni. Il suo risultato più immediato è l’elezione del nuovo superiore generale e del suo consiglio, ma il frutto più sostanziale sono le scelte che vengono fatte, a partire dal carisma originale dell’istituto, per dare una risposta creativa alle sfide che il mondo contemporaneo pone all’evangelizzazione. Mentre mi leggete il capitolo è già terminato, ma ho scritto queste righe quando stava per cominciare e, quindi, posso solo provare a condividere con voi alcuni degli elementi che hanno stimolato la riflessione e la ricerca dei capitolari prima di riunirsi. Il punto di partenza è stato una constatazione: stiamo tutti vivendo un tempo della nostra storia che chiede nuove attenzioni e nuove risposte. Ad esempio, il mondo occidentale non è più cristiano, la famiglia tradizionale è in crisi e in alcuni paesi come il nostro si registra un declino demografico. Esiste poi, nell’Occidente, un’ostilità neanche troppo nascosta contro la Chiesa e la religione cristiana, con attacchi che vanno dalla denigrazione alle notizie inventate o enfatizzate, dalle battute apparentemente spiritose agli insulti, strumentalizzando proverbi stantii come: «Quando nasci alimenti il prete, quando vai a nozze inviti il prete, quando muori il prete gode», o luoghi comuni di stampo anticlericale ottocentesco. Il futuro della Chiesa e dell’evangelizzazione è una sfida a tutto campo per la quale non servono risposte preconfezionate e che obbliga a guardare avanti con creatività, lungimiranza, tanta fede e umiltà. È un tempo che richiede un profondo discernimento per andare al cuore dei problemi e capire quello che davvero Dio vuole. Non è l’ora del fare, ma dell’ascolto, per una vera conversione. Sono quattro le aree dell’ascolto: la Parola di Dio, per andare alle radici della vocazione missionaria e del suo stile; il carisma trasmessoci dal nostro fondatore, il beato Allamano; la realtà viva, sofferta e sfidante del mondo di oggi; l’Istituto stesso, fatto di persone concrete con le loro potenzialità ma anche le loro fragilità. Oggi i Missionari della Consolata sono ben coscienti di non essere più un corpo monolitico come erano fino agli anni Settanta. Gli italiani sono ormai una minoranza, più anziani che giovani. Il cuore della forza missionaria oggi viene dall’Africa: uno scenario bellissimo che vede protagoniste delle Chiese giovani, aperte e generose, pur nella loro povertà, però anche pieno di incognite e nuovi problemi. Il capitolo si è, quindi, messo in ascolto del nostro mondo con un’attenzione speciale ai poveri, ai popoli indigeni, agli sfruttati, ai marginali della storia, alle periferie e a quelle aree, soprattutto in Asia, mai raggiunte dal Vangelo. I capitolari hanno anche fatte proprie le sfide della comunicazione, della cura del creato, della promozione della pace, delle migrazioni. C’è poi una situazione nuova, che richiede risposte nuove: quella dell’Europa che tradizionalmente mandava missionari, ma oggi li richiede con urgenza. Dall’ascolto viene poi la conversione per vivere le dimensioni più autentiche dell’identità dei Missionari della Consolata: «Prima santi, e poi missionari», diceva il beato Allamano, affinché ogni missionario diventi testimone e costruttore di gioia, libertà, fraternità, pace e giustizia là dove la Madonna Consolata ha voluto mandarlo. Una delle caratteristiche dei Missionari della Consolata, fin dalle origini, è stata proprio quella di ascoltare le realtà che man mano andavano a incontrare, mettendo al centro del loro interesse la persona, ogni persona, con una predilezione per i poveri, i lontani, gli emarginati, quelli che la società considera di meno. Come ha fatto Gesù, il primo vero missionario del Padre. Non abbiamo ancora in mano i documenti finali del capitolo. Non ci aspettiamo proposte spettacolari. La missione più vera si realizza di solito nel silenzio e nell’umiltà, in un dono di vita concretizzato in piccole cose fatte con amore in un quotidiano lontano dal clamore. Che davvero ogni missionario possa essere strumento di consolazione nelle mani di Dio. di GIGI ANATALONI direttore responsabile

Il numero è stato chiuso in redazione il 12 giugno 2023 e consegnato alle poste di Torino entro il 30 giugno 2023. * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 29 E LA CHIAMANO ECONOMIA Le banche e la lezione dimenticata di Francesco Gesualdi 32 CAMMINATORI DI SPERANZA /6 Rut, amore contro ogni convenzione di Angelo Fracchia 61 NOSTRA MADRE TERRA Impermeabili, resistenti, antiaderenti di Rosanna Novara Topino 67 COOPERANDO Bilancio sociale per conoscersi meglio di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI FILM Mondi perduti di Dario Cambiano In copertina: donna estrae acqua a mano da un pozzo a Baro, vicariato di Mongo, in Ciad. (foto di Anna Pozzi). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 7 | Luglio 2023 | anno 125 03 AI LETTORI La missione sfida i missionari di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo 2003-2023: A 20 ANNI DALL’INVASIONE DELL’IRAQ RIFLESSIONI SULLA GUERRA di Marinella Correggia a cura di Marco Bello 10 VENEZUELA Nove anni con i Warao di Juan Carlos Greco 17 MONDO Anche i fisici hanno conosciuto il peccato di Piergiorgio Pescali 24 CIAD L’ultimo dei saheliani di Anna Pozzi 51 CINA - AFRICA Cina, un esempio per l’Africa? di Marco Bello 56 BIELORUSSIA A scuola di guerra di Mao Valpiana 65 KENYA Una lezione di vita a cura di Gigi Anataloni 71 AMICO Opere tutte inserto a cura di Luca Lorusso SOMMARIO * * * * * 10 35 ossier | MC | LUGLIO 2023 4 *

5 a cura di Gigi Anataloni LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO NOI E VOI gato nella sua parrocchia di Collegno (To), la sera prima del funerale, il parroco, don Teresio Scuccimarra, ha voluto fermarsi su quattro misteri e momenti evangelici vedendone la realizzazione nella vita di Mirella: il suo amore ai bambini, la cura e assistenza delle persone con handicap psichici, il suo desiderio di giustizia ricordando la sua esperienza in El Salvador e la dedizione alla sua comunità. Mirella, nel suo «darsi da fare» per la missione, ha raccolto e donato molto. Come dice l’Allamano, è stata un canale che ha fatto sempre scorrere ciò che riceveva senza trattenere nulla per sé, vivendo la sua vita nella semplicità ed essenzialità. Ha compiuto le «opere più grandi» (Gv 14,12) che Gesù ha promesso ai suoi discepoli perché era una donna di fede, una fede non bigotta, ma tenace e concreta. La fede che sa vedere Gesù in ogni persona, che ha compreso e vissuto il «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Per tutto questo, e per quello che lei è stata, le siamo grati. Completiamo queste note con «GRANDE CUORE» È ANDATA IN CIELO «Ltau sapuk» (cuore grande), questo il nome dato dai Samburu a Mirella Menin (1941 - 2023), la laica missionaria di Collegno (Torino) che in tanti abbiamo conosciuto nei suoi viaggi in Kenya per oltre quarant’anni e per il suo infaticabile lavoro e dedizione per aiutare i più poveri e i bambini in particolare. Il Signore l’ha chiamata a sé il 29 maggio 2023 in modo inaspettato. La sua vita è stata un vulcano di iniziative, attività, incontri, viaggi. Tutto fatto con passione, dedizione missionaria e spirito profetico. Oltre all’esperienza del Kenya aveva vissuto anche quella in El Salvador negli anni in cui era vescovo san Oscar Romero che lei accompagnava nei villaggi dei campesinos e che ha visto morire, ucciso, mentre celebrava l’Eucarestia. Mirella tante volte era scomoda perché diceva la verità senza mezze misure e con coraggio. Aveva «fame e sete di giustizia» come è scritto sul ricordino del suo funerale. Durante il rosario che si è predue testimonianze significative che sono state lette al suo funerale: quella di Agata Lekimencho, già catechista a Maralal, e quella di mons. Virgilio Pante, vescovo emerito di Maralal. padre Michelangelo Piovano, Torino 03/05/2023 Omaggio alla nostra amata mamma Mirella È con profondo dolore e tristezza che abbiamo appreso la notizia della scomparsa della nostra grande amica e madre. Per noi Mirella è stata una madre amorevole che ha condiviso con noi tutta la sua vita qui nel Samburu: soldi, tempo, vestiti, e persino il sapone e prodotti di igiene personale. Molti hanno potuto studiare grazie al sostegno economico che proveniva dal suo grande cuore. Si occupava delle spese ospedaliere ed era sempre preoccupata per il benessere delle persone bisognose. Ha sostenuto le spese per l’educazione di oltre 250 bambini che, grazie a quello, hanno poi aiutato a migliorare il tenore di vita delle loro famiglie. Alcuni ora sono insegnanti, dottori, meccanici, falegnami, ecc. Ha anche aiutato i loro genitori che hanno potuto iniziare attività che hanno permesso loro di avere una vita dignitosa. Mirella ha davvero toccato vite e le sue azioni si vedranno per sempre nelle nostre comunità. È stata mandata dal cielo e nessuna parola può descrivere appieno il suo amore per l’umanità. Nonostante le condizioni ambientali qui da noi siano molto dure, il suo grande cuore compassionevole la faceva camminare instancabilmente per visitare i © AfMC / Virgilio Pante LUGLIO 2023 | MC | Qui: Mirella Menin durante una delle sue recenti visite nel Samburu, Kenya. | Pagina seguente: Mirella nella missione di Sererit con amici e il vescovo Pante (alle sue spalle) e padre Aldo Giuliani (alla sua sinistra).

malati, gli anziani e le persone meno fortunate e i bambini nei villaggi e nelle scuole. Le piaceva passare il tempo con i bambini, giocare e scattare foto insieme con loro. Mirella era una specie di figura che senti di volere sempre vicino. Abbiamo davvero visto come Dio usa le persone per aiutare gli altri, Mirella era davvero una sua serva. Ltau sapuk, riposa in pace. Ci mancherai senza dubbio. Mentre riposi, prega per noi di emulare il tuo cuore in modo che possiamo anche noi aiutare gli altri nel modo in cui tu hai amato. da Agata Lekimencho tutore dei bambini Maralal, Samburu, Kenya Ciao, Mirellona Mirella, che io chiamavo Mirellona, è entrata nella mia vita una quarantina di anni fa, durante i suoi viaggi in Kenya. Un dono di Dio per me e per tanti altri, specialmente i più poveri della società. Aveva un cuore grande, sempre al servizio degli ultimi. Per me prete missionario e poi vescovo, era una sfida e una voce profetica, molto scomoda. Sia in America Latina che in Africa ha mandato «milioni» per sfamare e per far studiare i più svantaggiati del mondo. Sapeva anche essere affettuosa, sotto una scorza dura, e si comAbbiamo girato la domanda ad Angelo Fracchia. Ecco la sua risposta. Ringrazio intanto della generosa attenzione. Provo a rispondere in tre punti. 1) La lettura «naturalistica» dei miracoli è in effetti quella preferita oggi, per ragioni anche culturali, in quanto fatichiamo ad ammettere la presenza di eventi inspiegabili, laddove l’antichità era molto più pronta ad accoglierli. L’interpretazione preferita dall’approccio storico critico è tuttavia quella che cerca di cogliere che cosa un testo antico volesse effettivamente significare, al di là delle interpretazioni e premesse culturali di chi scriveva. 2) Leggere in questo modo il racconto della creazione della donna in Gen 2 porta a cogliere che il cuore di quell’episodio è individuare come fondamentale per gli esseri umani non solo un rapporto verso l’alto (con Dio) e il basso (con gli animali, la creazione), ma anche alla pari, in una relazione che è segnata dall’affinità («osso delle mie ossa, carne della mia carne») e insieme dalla chiara differenza (a essere chiamati a diventare «una carne sola» sono «i due»). 3) Restando dentro la logica del testo, a porre come differenti e complementari i due è l’opera divina, ossia qualcosa che gli esseri umani non decidono. Ci sono molti aspetti della nostra esistenza che semplicemente ci troviamo a gestire (dove e da chi nasciamo, il nostro aspetto, persino il nostro carattere...) senza averli scelti. Consapevolezza culturale e ascolto di situazioni umane complesse portano anche le chiese, sempre più, a rendersi conto che la stessa condizione omosessuale, o come ci si percepisce, sono un «dato» non scelto da chi la vive. Per questo si sta uscendo dalla condanna di persone che sono autenticamente in questa realtà, perché se non c’è scelta non c’è colpa. Non è però che queste persone abbiano «deciso» di essere come sono. Piuttosto, si tratta di riconoscere chi siamo e decidere come gestire questa nostra esistenza che non abbiamo stabilito noi. 6 noi e voi | MC | LUGLIO 2023 © AfMC / Virgilio Pante muoveva per i piccoli, i disabili mentali (ne sanno qualcosa quelli della casa di Collegno che ha servito con amore per tanti anni). Mirella non sapeva misurare le parole contro le ingiustizie e le falsità nella società e, talvolta, nella chiesa stessa. Ciao Mirellona. Grazie di avermi incontrato nella vita. Ci ritroveremo in Paradiso circondati dal sorriso dei piccoli. + Virgilio Pante 01/05/2023, Maralal, Kenya CREAZIONE DA REINTERPRETARE? Leggo sempre con molto interesse la rubrica «Camminatori di speranza» del biblista Angelo Fracchia. Mi sembra di capire che egli tenti di spiegare la maggior parte dei cosiddetti miracoli in chiave naturalistica, essendo il primo aspetto frutto della mentalità del tempo di redazione. Alla luce dell’accettazione sempre più profonda delle coppie omogenitoriali da parte di varie correnti cristiane, della Chiesa Valdese e della stessa Chiesa cattolica, dobbiamo forse aspettarci una rilettura dell’atto di creazione della donna come atto di creazione di una persona a cui ciascuno attribuisce il sesso che desidera? Grato dell’attenzione porgo cordiali saluti. Saverio Compostella 01/04/2023

Poi, dal rispetto e accoglienza piena di una persona omosessuale e della sua dimensione di compimento di sé non consegue per forza accettare l’omogenitorialità. È altra cosa che merita di essere rimeditata con calma, ricordandoci che nel generare, il centro non sono i genitori, ma i figli. Angelo Fracchia 13/05/2023 È chiaro che la questione dell’omogenitorialità è tutt’altro che semplice, con differenze profonde a seconda che si tratti di una coppia gay o lesbica. La posizione della Chiesa, ribadita sia nel Catechismo che nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa cattolica, è che le unioni di fatto (tra persone omosessuali) non sono equiparabili al matrimonio tra uomo e donna. Ovvio che non è questo il luogo per approfondire il tema. A noi sta certamente a cuore il rispetto e l’amore per ogni persona, contro ogni discriminazione di sesso, etnia, cultura, posizione sociale o colore della pelle. ASSALTO ALL’OCCIDENTE? Buon giorno, qualche parolina su cosa dobbiamo imparare dagli indigeni oceanici. Il timore reverenziale verso la natura era terrore degli spiriti che popolavano le foreste i fiumi le montagne. Ma ciò non impediva loro di praticare l’infanticidio quando la foresta aveva esaurito i frutti, di torturare i nemici o stranieri, straziandoli in modo indicibile (i sopravvissuti rimanevano terrorizzati per giorni e giorni), e non diciamo degli stupri, incesti, cannibalismo, promiscuità, ecc. comuni a tutti i primitivi, compresi i popoli amazzonici, campioni di orrori anche peggiori. Se l’uomo bianco non avesse lavorato modificando la natura infida del caos primordiale, non ci sarebbe nulla sulla terra, né case confortevoli, né elettrodomestici, e cibo ogni giorno dell’anno, scuole, ospedali, strade, neanche i giornali da cui parlate, ecc. Tutto ciò che chi non è occidentale invidia vorrebbe possedere senza aver mai lavorato, e tenta di depredare insozzando i luoghi in cui vengono accolti per amore fraterno, ma i fratelli uccidono e restano impuniti, vedi Caino. La povertà materiale si combatte col lavoro, attività sconosciuta per gran parte di africani, indios, asiatici i quali sono ai primi posti per omicidio, stupro, spaccio di droga violenza contro le donne e i bambini, abbandono dei deboli e malati, terrorismo, conflitti tribali, ecc., bei regali del terzo mondo che non si sviluppa soprattutto in etica. La natura non ha moralità (papa Wojtyla) e chi vive in armonia con essa diventa una bestia. A questa bestia si stanno avvicinando gli europei. Da quando amano la natura infatti sono diventati animalisti, sodomiti legalizzati (pratica diffusa tra i selvaggi), abortisti gratuiti e altre aberrazioni tipiche di questi individui non certo buoni, miti e innocenti. I volontari continuano ad essere uccisi. Nonostante il Vangelo la luce è ancora lontanissima. Se scompare la cultura occidentale (ancora in maggioranza buona) sarà la fine per tutti, ma siamo a buon punto verso l’abisso grazie alla vile sovrappolazione di Africa, Asia, America Latina, ricchi di risorse ma non di gente che lavora cioè i maschi le donne sono oberate di tutto e nessuno le protegge. Saluti. Gli occidentali email di L.V., 29/04/2023 Forse lo spunto di questa email è stato il nostro articolo sul Pacifico come Territorio di caccia (MC 4/2023, p. 10). Sarebbe stato un testo da ignorare, ma non è stato possibile visto che assurdità simili sono oggi anche sulla bocca di politici con responsabilità di governo. Molte delle accuse fatte ai popoli indigeni sono quelle che, nei secoli, hanno giustificato il colonialismo e anche la cosiddetta «civilizzazione cristiana». In realtà oggi possiamo tranquillamente dire che sono pure fandonie per giustificare una pseudo superiorità culturale e morale che, di fatto, noi occidentali non abbiamo. Primo. Cocktail di etnie. Noi occidentali (e noi italiani, in particolare) esistiamo perché siamo il risultato di un’incredibile mescolanza di etnie diverse: dagli indoeuropei agli schiavi nordafricani, asiatici e nordici che i Romani importavano a migliaia; dai popoli dell’Est (Unni, Longobardi, Mongoli, Slavi e affini), che hanno invaso o trovato casa nelle nostre pianure, ai «mori» che hanno scorazzato per anni nelle nostre valli e razziato le nostre coste. Secondo. Violenze. Quanto a violenze ed efferatezze non siamo secondi a nessuno. Basta ricordare l’Olocausto, la bomba atomica, la schiavitù praticata per secoli e che, pur ufficialmente abolita, continua di fatto in tantissime fabbriche delocalizzate e con la tratta di persone per lavoro nero, prostituzione e pornografia, il colonialismo che ha espropriato tanti popoli delle loro terre e delle loro risorse, il cambiamento climatico in corso causato dal nostro stile di vita, il traffico di armi, le guerre dirette e per procura, fino all’attuale follia in Ucraina. Terzo. Lavoro. Siamo davvero sicuri che il nostro modo di lavorare sia il migliore e il più umano? Lavoriamo davvero per vivere meglio e creare un mondo più bello o per avere sempre di più anche sulla pelle degli altri e a spese dell’ambiente? Quanto a tutto il resto: davvero possiamo vantare superiorità su altri popoli e culture? E circa la fola della sovrappopolazione come minaccia per la nostra etnia, siamo seri per favore. Siamo noi che stiamo scegliendo di morire, rifiutandoci di fare figli. Senza dire del presunto piano di islamizzazione dell’Europa tramite l’invasione degli immigrati. Fosse vero, basterebbe che i cristiani nominali dell’Occidente tornassero a praticare una fede sincera. LUGLIO 2023 | MC | 7 Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com

PORTO RICO CELAM La 39ª Assemblea generale ordinaria del Consiglio episcopale latinoamericano e dei Caraibi (Celam), tenutasi ad Aguadilla (Porto Rico), dal 16 al 19 maggio 2023, ha riaffermato il proposito di continuare a camminare nel processo di rinnovamento e ristrutturazione dell’azione pastorale avviato negli ultimi quattro anni secondo una dinamica segnata da ecclesialità, collegialità e sinodalità. L’assemblea ha presentato relazioni sul cammino intrapreso dalla presidenza e dai centri pastorali, con particolare attenzione agli itinerari sinodali. Ha riflettuto anche sulle difficoltà vissute e sulle fragilità, insistendo sulla necessità di «rispondere più fedelmente a coloro che soffrono condizioni di esclusione», nell’impegno e nell’attenzione ai più poveri, nel prendere posizione contro «la polarizzazione e l’imposizione di ideologie che disintegrano le nostre società». L’assemblea, che ha rinnovato i vertici del Consiglio episcopale eleggendo mons. Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre (Brasile) come suo presidente, ha discusso sulla base della realtà sociale ed ecclesiale del continente, la proiezione e gli orientamenti per il quadriennio 2023-2027. Sono emerse le principali sfide per il Celam nei prossimi quattro anni: la necessità di formare nella spiritualità della sinodalità; l’impegno per le piccole comunità; far conoscere la dottrina sociale della Chiesa in tutti gli ambiti e rafforzare la conversione missionaria in tutto il continente. (Adn Celam) CINA ANNO DEL CATECHISMO Un’edizione in cinese del Catechismo della Chiesa cattolica è il gradito regalo che i cattolici di Xiamen si sono visti porgere all’ingresso della cattedrale, il primo maggio, memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore, nel giorno in cui nella loro diocesi ha avuto inizio «L’Anno del catechismo». Con il motto «Annunciare la buona novella della salvezza del Signore», il tempo speciale dedicato al catechismo è iniziato con una solenne liturgia eucaristica, presieduta dal vescovo Giuseppe Cai Bingrui, a cui hanno preso parte tutti i sacerdoti diocesani, le suore e i rappresentanti laici delle parrocchie. La Commissione diocesana per la pastorale e l’evangelizzazione ha reso pubblico il programma di iniziative e appuntamenti messi in agenda per vivere l’Anno del catechismo con l’obiettivo di camminare insieme nella fede e riconoscere anche nello studio della dottrina un’occasione preziosa per annunciare il Vangelo. «Armati del catechismo e rafforzati dalla Parola di Dio, rispondiamo al mandato del Signore Gesù di annunciare la buona novella della sua salvezza», si legge nella lettera pastorale di indizione dell’anno speciale, firmata dal vescovo. Nella liturgia del primo maggio tutti i partecipanti alla messa hanno attraversato la «Porta santa» della chiesa, con un gesto che voleva simboleggiare l’inizio del cammino condiviso. (Fides) AUSTRALIA VERITÀ - SINODALITÀ Dal 3 al 5 maggio si è svolta a Sidney la conferenza One heart many voices organizzata dalle Pontificie opere missionarie (Pom) australiane, conosciute come Catholic mission. Sessioni formative, workshop, momenti di preghiera e condivisione, intrattenimento artistico, hanno popolato queste tre giornate cui hanno preso parte oltre 300 persone da tutto il paese, alcune di loro collegate virtualmente. Priorità di questo incontro che avviene ogni due anni è quella di offrire contenuti ed esperienze che possano rafforzare lo spirito missionario mettendo al centro temi e sfide in cui la Chiesa è impegnata. Verità, sinodalità e riconciliazione le parole chiave del convegno, che nella prima giornata ha proposto il tema dell’inclusione e della diversità. La seconda giornata ha toccato i temi del dialogo interreligioso, della conversione ecologica e del coinvolgimento dei giovani nella Chiesa. Nella giornata finale i partecipanti hanno avuto uno spazio di riflessione e confronto sui tanti temi affrontati nelle due giornate precedenti, condividendo le proprie personali esperienze di missione e ciò che s’impegnano a fare una volta tornati nelle loro comunità. (Fides) a cura di SERGIO FRASSETTO LA CHIESA NEL MONDO | MC | LUGLIO 2023 8 Porto Rico: i rappresentanti delle Conferenze episcopali del continente riuniti ad Aguadilla per l’assemblea generale del Celam. © Adn Celam

INDIA MADRE TERESA A MOTIJHIL Lo Stato indiano del Bengala occidentale ha consegnato alle Missionarie della carità un terreno della baraccopoli di Motijhil, il luogo in cui nel 1948 iniziò l’opera di Madre Teresa a servizio dei poveri. Madre Teresa, che negli anni quaranta insegnava nel quartiere di Entally, al collegio delle suore di Loreto (congregazione di cui ha fatto parte per 20 anni), si affacciava dalla finestra dell’istituto per osservare le condizioni di vita degli abitanti dello slum di Motijhil. Nel dicembre 1948 si aggirò per la prima volta tra le abitazioni fatiscenti, ma solo in un secondo momento, dopo aver convinto le consorelle e l’arcivescovo di Calcutta, ricevette dalla Santa Sede il permesso di lasciare il convento per mettersi al servizio dei «più poveri tra i poveri». Il 23 aprile scorso le suore hanno festeggiato la notizia alla scuola Nirmal Hriday situata all’interno dello slum di Motijhil. «Settantacinque anni fa Madre Teresa venne qui per iniziare la sua grande opera che ha poi fatto il giro del mondo», ha commentato il parlamentare bengalese Derek O’Biren, che ha aiutato le suore a ottenere il terreno. Gli alunni e i bambini erano accompagnati dalle quattro consorelle che oggi amministrano la scuola, offrendo sostegno scolastico, ma anche corsi di formazione in sartoria alle donne. Nella baraccopoli di Motijhil risiedono 5mila persone: cristiani, musulmani e indù che vivono insieme in armonia. Alcuni residenti più anziani ricordano la presenza di Madre Teresa alla scuola locale. (Asia News) HAITI RAPITI IN CHIESA «Siamo in un processo di distruzione di tutto ciò che ha plasmato la vita del popolo haitiano: convivenza, fiducia, relazioni di buon vicinato. Stiamo perdendo tutto questo. Le persone che andavano in chiesa sapevano che questi erano luoghi più o meno sicuri. Oggi, anche nella chiesa, la gente viene a rapire le persone, il che causa la chiusura di molti templi». «Nella zona di Martissant, nella parrocchia di Santa Bernadette e in altre zone senza legge, è diventato difficile praticare il culto, fare celebrazioni, celebrare l’Eucaristia in pace, con calma», lamenta mons. Pierre Dumas, vescovo di Anse-àVeau e Miragôane. «Quando i fedeli vanno in chiesa, ci deve essere quasi un accordo con le bande per poter partecipare al culto. Questo è disgustoso». «È l’intero paese che sta vivendo questa situazione - sottolinea -, un paese alla deriva, scosso non solo dalla natura sotto forma di diversi terremoti devastanti, ma anche da una decomposizione politica e istituzionale dopo la caduta del regime autocratico dei Duvalier, nel 1986, e dall’indifferenza internazionale. (Sir) Brasile: indigeni venezuelani Giovedì 11 maggio, nella cappella Nostra Signora de Jardim Floresta, situata nell'area in cui operano i Missionari della Consolata, si è svolto il primo incontro di leader indigeni venezuelani immigrati a Roraima. Si è trattato di una giornata di formazione e informazione a cui hanno partecipato 53 persone delle popolazioni indigene Warao, Taurepan, E’ñepa, Kariña e Akawayo. Gli obiettivi dell’incontro erano: informare i leader indigeni a proposito delle aree che lo stato di Roraima metteva a disposizione dei migranti indigeni; far conoscere i risultati del primo incontro nazionale di leader indigeni che si è celebrato a Brasilia nel mese di aprile; continuare nell’assistenza e organizzazione della popolazione indigena migrante in modo da garantire i suoi diritti nel pieno rispetto della legislazione e accordi internazionali. In questa intensa giornata sono stati presentati gli enti pubblici brasiliani che in diversi modi possono sostenere le organizzazioni indigene e si è ribadito che le popolazioni indigene migranti hanno un ruolo di primo piano nell'elaborazione, esecuzione e monitoraggio delle politiche pubbliche. Per questo è sorta la proposta che in ogni paese siano eletti rappresentanti che possano occuparsi di temi legati a giovani, donne, casa, istruzione, salute, assistenza sociale, lavoro imprenditoriale e un consiglio degli anziani. Ogni gruppo etnico, a prescindere dal numero di migranti, eleggerebbe un suo rappresentante e questi riporterà alle rispettive comunità le decisioni che saranno prese su ciascuno di questi temi. I risultati saranno presentati in rete. In questo modo si spera che l’autogestione politica e amministrativa delle comunità possa influire positivamente sulle politiche pubbliche locali. I Missionari della Consolata accompagnano il cammino degli indigeni immigrati nello stato di Roraima assistendoli materialmente, legalmente e spiritualmente. (Imc) LUGLIO 2023 | MC | 9 India: festa a Motijhil per la concessione del terreno della scuola fatta dal governo alle suore di Madre Teresa. Roraima (Brasile): indigeni venezuelani mostrano il certificato di partecipazione al corso «L’educazione indigena come spazio educativo interculturale». Asia News Foto Imc

Da quest’anno sono a Boa Vista, nello stato brasiliano di Roraima. Nei precedenti nove anni ho vissuto tra i Warao del Venezuela, quasi sempre nel loro habitat tradizionale: i canali del rio Orinoco, nello stato del Delta Amacuro. Oggi, i Warao si possono incontrare in paesi inaspettati - da Cuba a Trinidad e Tobago -, luoghi spesso raggiunti dopo viaggi avventurosi. Gli anni trascorsi in mezzo a loro mi hanno lasciato un piacevole ricordo e molteplici insegnamenti che sarebbero sufficienti per scrivere un libro. In queste pagine, però, mi limiterò a evidenziare alcuni pensieri e sentimenti legati a quelle che io chiamo «le tre “o”» dei Warao: oralidad, oyentes y orgullo, che, in italiano, diventano «oralità, ascoltatori e orgoglio». Il «quaderno dei ricordi» La vita di un Warao tradizionale - «morichalero», come dicono alcuni - si svolge nell’immediatezza, il che implica un modo di concentrarsi sul lavoro di coltivazione dell’ocumo cinese1, sull’estrazione dei prodotti del moriche2, sull’uscita in canoa a pescare. Tutto ciò potrebbe semMissionario argentino, ha lavorato lungamente tra i Warao, popolo indigeno del Delta Amacuro, in Venezuela. Da qualche mese opera a Boa Vista, Roraima, dove molti indigeni sono immigrati, spinti dalla necessità e per iniziare (o provare a iniziare) una nuova esistenza. In queste pagine, padre Juan Carlos Greco ricorda gli anni trascorsi nelle loro terre. brare qualcosa di paradisiaco. Tuttavia, la realtà dei Warao non è così idilliaca, visto che i problemi da affrontare sono tanti. La distanza che separa un villaggio dall’altro, l’assenza di acqua non contaminata (potabile), la carenza di cibo, sono solo alcune delle difficoltà che essi devono affrontare. Qualcuno ha detto che è molto difficile ascoltare una storia o raccontarla quando si ha fame, e la fame, purtroppo, riguarda tante comunità warao del Venezuela. Sono sempre meno gli anziani che, al mattino o alla sera, si sie- | MC | LUGLIO 2023 10 di JUAN CARLOS GRECO VENEZUELA TRA GLI INDIGENI DEL VENEZUELA Nove anni con i Warao © Wysocki Pawel - Hemis.fr - AFP

rali, a punizioni divine, conseguenze della disobbedienza di qualche individuo o famiglia. I miti parlano di personaggi fantastici che sono reali per il narratore, così come perfetti sono il tempo e lo spazio che, nella suspense della narrazione, paiono infiniti. Il clima di attenzione che si crea quando la persona sta narrando è straordinario: gli ascoltatori rimangono attenti alla storia vivendo ogni suo dettaglio. Il silenzio circostante è rotto soltanto dalla voce del narratore, attraverso la quale ciascuno dei personaggi prende vita, mentre il pubblico immagina volti, voci, gesti, azioni. I bambini sono attenti, alcuni seduti sul pavimento, altri sulle amache, mentre le donne allattano i più piccoli cullati dal suono morbido della voce. Mi è capitato che un’unica storia, di quelle che venivano narrate a messa dopo la comunione - specialmente in comunità come Muhabaina de Araguao - durasse il doppio della mia omelia. Ascoltatori Quando visitavamo le comunità ed esprimevamo il desiderio di ascoltare i loro miti, coloro che sapevano mostravano con orgoglio le loro conoscenze. La janoko dove si svolgeva l’incontro si riempiva con decine di bamLUGLIO 2023 | MC | 11 In alto: palafitte warao (janoko) sul delta dell’Orinoco. | A sinistra: gruppo di Warao sulla canoa, mezzo di trasporto tipico della popolazione indigena originaria del Venezuela. popoli indigeni | migrazioni | crisi economica dono per raccontare storie ai loro figli o nipoti. Alcuni ricordano i miti solo quando arrivano persone non indigene che li stimolano a ricordare. Sicuramente, alcuni aidamos (anziani, soprattutto uomini) e i wisiratu (figure simili agli sciamani) sono ancora attenti a mantenere viva la tradizione perché sono consapevoli che è l’unico modo per i Warao di conservare la propria memoria: il pensiero è come un quaderno, dove la storia può essere «scritta» in modo che sia costantemente ricordata. Insomma, nonostante l’oralità stia perdendo terreno di giorno in giorno, essa rimane ancora un elemento centrale della cultura warao. Nel nostro contesto postmoderno l’oralità passa attraverso l’uso dei media (whatsapp, messaggi, zoom, ecc.) e, soprattutto dopo la pandemia, è diminuita quella «faccia a faccia». Quanto investiamo in questo tipo di scambio di conoscenze? Quanto le nuove generazioni apprezzano questa modalità di comunicazione? L’uso che facciamo dei media, il tempo che dedichiamo © Neil - Pixabay “ Ormai da vari anni, le difficoltà spingono molti Warao a lasciare i canali dell’Orinoco. a essi, il mondo dell’intelligenza artificiale, ci stanno rendendo più cibernetici ma meno civilizzati. Imparando dall’oralità tradizionale warao una persona viene arricchita e si mette in discussione. L’orgoglio dei Warao Il Warao è orgoglioso della sua capacità di ricordare cose ed eventi attraverso la ripetizione di storie e miti. Compone narrazioni, le varia, per comprendere e dare un significato «logico» all’esistenza e alle sue esperienze. Le storie raccontano il moriche (albero madre), il morocoto (pesce preferito per il cibo), la janoko (la palafitta, la casa del Warao), il giorno, la notte e gli altri elementi della vita di ogni giorno. Ma storie e miti servono anche a comprendere la causa dei bisogni attuali, oltre a confrontare il mondo warao nei tempi antichi con quello presente, pieno di cambiamenti e circostanze avverse che essi attribuiscono a eventi soprannatu-

VENEZUELA Qui a lato: una palma di moriche, albero tradizionale dei Warao e un tubero dell’ocumo chino, alimento fondamentale della dieta warao. | Sotto: una foto opportunità del presidente Maduro con un gruppo di Warao, durante una visita a Tucupita nel 2013. | A destra: Hugo Chávez, l’ex presidente venezuelano morto nel 2013, mostra un libretto con la nuova Costituzione, varata dal suo governo nel 1999. bini, giovani e persino anziani che ascoltavano attentamente la storia raccontata. Alla fine gli ascoltatori rimanevano a riflettere su quanto appreso, altri sorridevano a qualcosa di umoristico, altri si rattristavano per una storia pietosa. Miti o racconti educativi (deneabu) non vengono spiegati e finiscono quando lo stabilisce l’oratore. Sono i creoli (jotarao) a pretendere che, dopo la storia, essa sia ampliata, spiegata o che continui in un’altra forma. Per i Warao, invece, termina lì, ma tornerà nella loro mente in un altro momento per trarre conclusioni o applicazioni pratiche (il saggio è colui che tira fuori dal baule dei ricordi ciò che è utile per la sua sopravvivenza). Sono innumerevoli le esperienze che si vivono ascoltando i miti dalla voce di uomini e donne saggi che ancora li ricordano, portando quegli eventi nel qui e ora, come se li facessero rinascere. Paternalismo versus compassione Alcune frasi di Eduardo Galeano, il grande scrittore uruguaiano, mi hanno fatto riflettere. «C’è chi crede che il destino poggi sulle ginocchia degli dèi, ma la verità è che agisce, come una sfida ardente, sulle coscienze degli uomini». Parte della missione sarà cercare di pensare, nello stile warao, che il nostro futuro dipende soprattutto dal nostro sforzo, non dal caso o dall’intervento divino e non si può sempre aspettare passivamente le azioni paternalistiche dello Stato o delle Ong. «C’è solo un luogo - ha scritto sempre Galeano - dove ieri e oggi si incontrano, si riconoscono e si abbracciano. Quel posto è domani». Occorre ampliare la visione del futuro, che, in generale, nella maggior parte delle popolazioni indigene, è piuttosto breve, ancora di più nel contesto dell’immigrato o del rifugiato. Partendo dalle tre «o», occorre aiutare a capire che «colto non è colui che legge libri. Colto è colui che è in grado di ascoltare l’altro», di unire comunità e famiglie warao negli insediamenti, occupazioni, rifugi e ovunque essi si siano spostati. A livello missionario, occorre comprendere sempre di più che, come ha sentenziato lo scrittore uruguaiano, «la carità è umiliante perché si esercita verticalmente e dall’alto; la solidarietà è orizzontale e implica rispetto reciproco». Essere di supporto implica aiutare l’altro considerandolo un pari. Donare in una prospettiva di vera carità è guardarlo negli occhi, con compassione che non genera paternalismo ma consolazione. «La mia sfida» Sono arrivato in Venezuela nel 2012. Sono «emigrato» in Brasile, nello stato di Roraima, nel 2023, per accompagnare i Warao in questo nuovo paese. Dal 2016 a oggi, infatti, circa il 15% di essi è emigrato dalle proprie terre. Molti altri sono in viaggio o ci stanno pensando seriamente o sono in attesa delle risorse per un’avventura che non tarderà. Non posso classificare tutti come «immigrati venezuelani», dal momento che, tra i Warao pre- © Marcelo Garcia - Prensa Miraflores

LUGLIO 2023 | MC 13 Breve storia del Venezuela DA CHÁVEZ A MADURO Indipendente dal 1811, il Venezuela è un paese con molte esperienze di regimi autoritari. Negli anni Cinquanta attraversa una dittatura militare - quella del generale Marcos Pérez Jiménez -, ma la democrazia torna un decennio dopo. La politica, tuttavia, contina a essere dominata da partiti legati agli interessi dell’élite. Negli anni Novanta nasce una fase di liberalizzazione dell’economia, una situazione che, nel febbraio 1992, spinge un gruppo di militari di sinistra a tentare un colpo di Stato. Il suo fallimento porta Hugo Chávez Frías, leader del Movimento rivoluzionario bolivariano, in carcere. Un anno dopo, il presidente Carlos A. Pérez riceve un impeachment e viene destituito dall’incarico. Nel 1994, Hugo Chávez è graziato e rilasciato dal presidente Rafael Caldera. Quattro anni dopo, viene eletto presidente, avviando immediatamente quella che chiama la «rivoluzione bolivariana», con riforme della costituzione e della struttura dello stato. Durante i suoi 14 anni di governo, si presenta come difensore dei poveri destinando miliardi di dollari - originati dalle vendite di petrolio - in programmi sociali (las misiones). Nell’aprile 2002 viene sventato un golpe contro di lui e nel 2012 vince ancora le elezioni. Pochi mesi dopo, la morte di Chávez coglie di sorpresa il paese e il mondo. Il governo del suo successore (ad interim, al momento della sua morte), Nicolás Maduro, deve inaspettatamente affrontare varie difficoltà a causa della riduzione del valore del petrolio, i debiti in sospeso, un'escalation della corruzione e il peso della sostituzione di un leader carismatico come Chávez. La crisi economica e politica porta il Venezuela vicino al collasso. Nel 2015 si tengono le elezioni parlamentari per rinnovare tutti i seggi dell'Assemblea nazionale. I deputati eletti dovrebbero servire per 5 anni. Sono le prime elezioni parlamentari tenute dopo la morte di Hugo Chávez e si tramutano nella prima - umiliante - sconfitta del chavismo. Le elezioni portano alla vittoria della tavola rotonda dell'Unità democratica (Mud), con 112 dei 167 deputati dell'Assemblea nazionale (56,2% dei voti), e la prima grande vittoria elettorale per l'opposizione in 17 anni. A differenza del suo predecessore (che, dopo aver perso un plebiscito, aveva accettato la decisione popolare), Maduro rifiuta la sconfitta creando un'Assemblea costituente che eclisserà quella democraticamente eletta. Nel maggio 2018, viene rieletto per un secondo mandato di sei anni, in una elezione segnata dal boicottaggio dell’opposizione e da accuse di frode. Colpita dal crollo dei prezzi del petrolio e dalle severe sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, l’economia venezuelana cade in profonda recessione con i prezzi di tutte le merci alle stelle e una grave scarsità di prodotti. La situazione provoca un enorme esodo di venezuelani principalmente verso i paesi vicini (Colombia, Perù ed Ecuador). All’inizio del 2019, il leader dell’opposizione Juan Guaidó si dichiara presidente ad interim e si appella (senza successo) alle forze armate per rovesciare Maduro. L'Unione europea, gli Stati Uniti e molti altri paesi riconoscono Guaidó come presidente. Tuttavia, visti gli scarsi risultati ottenuti, a dicembre 2022, la stessa opposizione venezuelana decide di porre fine all’esperimento dell’interinato a far data dal 5 gennaio 2023. J.C.Greco “Nicolás Maduro è il successore del carismatico Hugo Chávez Frias, morto nel 2013. © Paolo Moiola

14| MC | LUGLIO 2023 © infobae.com La migrazione venezuelana FUGA DA SÚPER BIGOTE Lo scorso maggio a Brownsville, in Texas, un suv ha investito un gruppo di persone in attesa dell'autobus fuori da un rifugio per migranti. Tra gli otto morti e i dodici feriti, la maggioranza era venezuelana. L'emigrazione dal paese latinoamericano è iniziata poco dopo la prima presidenza di Nicolás Maduro, mediocre successore di Hugo Chávez, ma si è intensificata a partire dal 2016, in concomitanza con l’aggravarsi della crisi economica. Sui numeri non c’è certezza, ma la fuga dal paese è certamente imponente. Secondo R4V (Plataforma de coordinación interagencial para refugiados y migrantes, che comprende anche le agenzie dell’Onu), i venezuelani usciti dal paese sarebbero oltre sette milioni, di cui oltre sei sarebbero andati verso paesi latinoamericani, in particolare in Colombia (2,5 milioni) e in Perù (1,5), seguiti a distanza da Ecuador, Cile e Brasile. Come accade sempre e ovunque, questa emigrazione di massa genera molti problemi. I venezuelani arrivano in paesi già di loro problematici con uno stato sociale (sanità, istruzione, ecc.) debole e un mondo del lavoro dominato da impieghi informali. Questa situazione origina reazioni xenofobe da parte della popolazione residente e misure populiste da parte dei governi. In mezzo, ci sono i migranti - oltre la metà sono donne con bambini - che necessitano di tutto: cibo, alloggi, lavoro, assistenza. A fine aprile, per frenare l’immigrazione illegale, il governo peruviano di Dina Boluarte ha decretato lo stato d’emergenza ai confini del paese. I più recenti episodi di intolleranza si sono verificati in Cile (che ospita circa 450mila venezuelani), nella regione desertica di Arica, alla frontiera con il Perù. Qui i due paesi andini si rimpallano la responsabilità di risolvere la questione dei migranti venezuelani bloccati al confine. Nell’ultimo anno, la situazione economica del Venezuela è leggermente migliorata. L’inflazione rimane iperinflazione, ma pare stabilizzata: 471 per cento all’anno, secondo l’Observatorio venezolanos de finanzas. Da tempo, per uscire dall’isolamento internazionale, il paese intrattiene rapporti di collaborazione con le dittature, in particolare con l’Iran, la Russia e la Cina, paesi con cui Caracas condivide l’avversione verso gli Stati Uniti (combattuti anche da Súper Bigote, Super Baffo, il cartone animato venezuelano che esalta un Maduro dotato di superpoteri). In aprile, ha fatto tappa a Caracas il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, per ribadire la vicinanza di Mosca. Tuttavia, queste alleanze in chiave anti americana sono del tutto insufficienti per uscire dalla crisi. Più utile si sta dimostrando il riavvicinamento alla Colombia. Sempre in aprile, in un incontro a Washington, il presidente colombiano Gustavo Petro ha chiesto a Biden di ripensare le sanzioni contro il Venezuela. Il presidente Usa ha chiesto garanzie per le prossime elezioni del 2024. Elezioni alle quali l’opposizione si dovrebbe presentare con un candidato unitario che sarà eletto nelle primarie previste per il 22 ottobre 2023. Nel frattempo, il governo Maduro ha preso atto delle gravi difficoltà di Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, un tempo vanto (e cassaforte) del Venezuela. Anche per questo ha recentemente concluso accordi con alcune compagnie petrolifere occidentali per esportare il proprio gas: con l’italiana Eni, la spagnola Repsol e la statunitense Chevron (tutte già presenti nel paese ma da tempo ferme a causa dell’embargo imposto dagli Usa). Soltanto con un miglioramento delle condizioni materiali della popolazione venezuelana Súper Bigote potrebbe riuscire a porre un freno alla fuga dal paese. Paolo Moiola VENEZUELA

“ In questi anni hanno lasciato il Venezuela oltre sette milioni di persone. Qui sopra: una mappa con le cifre dell’emigrazione venezuelana in vari paesi latinomericani; in testa per numero di persone accolte, ci sono la Colombia e il Perù. | In alto a sinistra: il presidente Nicolas Maduro e il suo cartoon, «Súper Bigote» (Super Baffo). | Qui a lato: lavoratori di Pdvsa, la compagnia petrolifera dello stato venezuelano. © Pdvsa © infobae.com LUGLIO 2023 | MC | 15

IL VENEZUELA SU MC • Sergio Frassetto (a cura di), Venezuela 50. Tra indigeni, afrodiscendenti e periferie, dossier, novembre 2021; • Marco Bello - Paolo Moiola, Odissea Warao, un reportage in quattro puntate pubblicate da gennaio a maggio 2020. NOTE (1) Pianta della famiglia delle Aracee, con un gambo corto, foglie triangolari, fiori gialli e un rizoma contenente amido usato come alimento. (2) Buritì, canangucha, mirití, palma real, aguaje, la palma moriche cambia nome a seconda dell’area in cui cresce. S’incontra nelle zone umide dell’America Latina. Dal suo tronco pendono migliaia di frutti rossi e carnosi. (3) Le cifre indicano un totale di settemila indigeni di cui l’80 per cento sarebbe warao. Il numero di figli nati in Brasile si aggira sulle mille unità. senti qui, il 18-25% sono già nati in Brasile3. In questa terra s’intravede che per loro c’è speranza, e l’intenzione è di rimanere qui. Solo una minoranza di Warao vuole tornare a vivere in Venezuela. Quelli che ci vanno, di solito lo fanno per visitare i propri familiari. Personalmente, io sono ancora ai miei primi passi, ma intuisco che, tra le esigenze di queste persone, c’è quella di salvaguardare i ricordi. Tra gli studiosi di culture indigene, si sottolinea l’importanza dell’oralità nei processi di ricostruzione della memoria etnostorica, antica o contemporanea, perché attraverso di essa si può conoscere ogni giorno qualcosa di più su una comunità, una regione, o una certa famiglia. Non è un compito facile. Se per il cibo e i rimedi si possono trovare fondi e solidarietà, per i processi culturali è tutto molto difficile. E senza la loro cultura, senza i loro valori, i Warao finiranno per essere manodopera a basso costo o lavoratori schiavi. Tra i compiti che ci prefiggiamo, c’è quello di far crescere la loro autostima, in modo che riescano a farsi riconoscere come una ricchezza che il Venezuela sta esportando. Occorre, poi, cercare di integrarli nella nuova terra che presenta situazioni e conteVENEZUELA | MC | LUGLIO 2023 16 In alto: una bimba warao riposa su un’amaca, in un’abitazione di Tucupita, nello stato del Delta Amacuro. | Qui sopra: padre Juan Carlos Greco, autore di questo articolo, con i ragazzi di una prima comunione sulle colline di Duaca, nello stato di Lara (Venezuela). sti molto diversi da quelli a cui i Warao sono abituati. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare sono, secondo papa Francesco, atteggiamenti fondamentali per garantire che i diritti umani dei migranti siano rispettati e le persone trattate con dignità. E questa è la nuova missione che mi sfida. Juan Carlos Greco © Jaime Carlos Patias © archivio Juan Carlos Greco

therine Mansfield - segnò profondamente parte della sua vita. Dopo un primo superficiale approccio con la Gita nel 1931, Robert Oppenheimer iniziò a studiarla in modo analitico a partire dal 1933 con Arthur W. Ryder (1877-1938), professore di sanscrito all’Università della California di Berkeley, dove Robert insegnava fisica teorica. «Ryder - ha scritto William Leonard Lawrence (l’unico giornalista a cui fu consentito di seguire il «Progetto Manhattan», ndr) - sentiva, pensava e parlava come uno stoico... una sottoclasse speciale delle persone che hanno un senso tragico della vita, in quanto attribuiscono alle azioni umane un ruolo decisivo nella differenza tra salvezza e dannazione. Ryder riteneva che di PIERGIORGIO PESCALI MONDO JULIUS ROBERT OPPENHEIMER Anche i fisici hanno conosciuto il peccato Direttore del «Progetto Manhattan», fu uno dei padri della bomba atomica. Mente geniale e controversa, cercò nei testi sanscriti della «Bhagavad Gita» risposte ai suoi interrogativi etici. Tuttavia, il fisico statunitense tenne sempre separato il ruolo della scienziato da quello del politico che della bomba decide l’utilizzo. Qui sotto: una rara immagine del Trinity Test, il primo test nucleare effettuato dall’esercito Usa nell’ambito del Progetto Manhattan; il test avvenne nel deserto del Nuovo Messico il 16 luglio 1945. sempre travagliato da rimorsi e domande etiche sulla sua responsabilità nel «Progetto Manhattan» (riquadro a pag. 17). Uno degli aspetti forse meno dibattuti nel tentativo di capire questo tormento morale è il rapporto che ebbe con un libro a lui particolarmente caro: la Bhagavad Gita («Canto del Divino»), il poema epico sanscrito che, sin dagli anni Trenta, lo aveva aiutato a trovare risposte alle sue domande esistenziali. Intendiamoci, Oppenheimer non era una persona religiosa. Infatti, fu sempre attento a non farsi coinvolgere dalla comunità ebraica, non professò mai alcun tipo di fede, ma il testo indiano - assieme ad altri, come l’Amleto, la Divina Commedia, o i libri della scrittrice neozelandese Ka- © Atomic Heritage Foundation Già prima della sua uscita (21 luglio 2023), il film Oppenheimer del regista inglese Christopher Nolan ha incuriosito non soltanto il mondo dello spettacolo ma anche quello della scienza. Descrivere una figura così problematica e discussa come il fisico statunitense di origini ebree non è facile, specialmente quando si deve condensare la sua vita in poco più di due ore. La «Bhagavad Gita» Dopo il 6 e il 9 agosto 1945, quando le due bombe nucleari furono lanciate su Hiroshima e Nagasaki, Julius Robert Oppenheimer (1904-1967), mente tanto geniale quanto incostante e per molti versi ambigua, fu 17

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