Missioni Consolata - Luglio 2023

delle sostanze Pfas capostipiti, cioè il Pfoa o acido perfluorottanoico. Nel 2006 l’indagine europea Perforce sulla diffusione delle sostanze perfluorate nei fiumi europei, coordinata dall’Università di Stoccolma, portò alla scoperta della presenza in grandi quantità di queste sostanze in diversi corsi d’acqua. Negli anni sono emersi, uno dopo l’altro, diversi episodi di inquinamento, in numerose aree geografiche. Migliaia di siti contaminati Negli Stati Uniti il caso più noto di contaminazione «accidentale» è quello verificatosi sulle sponde del fiume Ohio a opera della DuPont, che aveva taciuto per anni sulla pericolosità dei Pfas1. La mancata notifica della tossicità del Pfoa alle autorità governative Usa, costò alla DuPont una class action che portò a una multa di 300 milioni di dollari, più il pagamento di altri 630 milioni per compensare collettivamente più di 3.800 persone, che risultarono affette da una o più patologie Pfas-associate, tra cui: cancro del rene, cancro del testicolo, malattie della tiroide, ipercolesterolemia, colite ulcerosa, ipertensione gravidica (preeclampsia o gestosi). Sempre negli Stati Uniti, la multinazionale 3M fu ritenuta responsabile di gravi episodi d’inquinamento dell’aria e dei corsi d’acqua attorno ai suoi siti produttivi in Alabama e nel Minnesota. In Europa, i più gravi episodi d’inquinamento da Pfas si sono verificati in Germania, Regno Unito, Olanda e in Italia. In Germania, furono sparse migliaia di tonnellate di fanghi contaminati provenienti da cartiere su oltre mille siti agricoli. Con il passare del tempo, queste sostanze si accumularono nelle piante e si dispersero nelle acque di falda utilizzate da almeno cinque milioni di tedeschi. Anni dopo, il monitoraggio della popolazione dimostrò la presenza nel sangue di Pfas (con prevalenza di Pfoa) 4-8 volte superiore nelle persone esposte. Nel Regno Unito, intorno alla metà degli anni Novanta, si verificò un grave inquinamento da Pfas presenti nelle schiume antincendio utilizzate per l’addestramento dei vigili del fuoco dell’aeroporto dell’isola di Jersey. I terreni e i pozzi attorno alla struttura continuarono ad avere concentrazioni di Pfos (acido perfluorottanoico solfato) superiori a 10mila nanogrammi per litro (ng/litro) ancora dopo oltre vent’anni, dimostrando la persistenza ambientale di queste sostanze. In Olanda, per decenni i fumi di un grande impianto di produzione di Pfas dell’azienda Che- | MC | LUGLIO 2023 62 U na prima definizione di Pfas risale al 2011 a opera di un gruppo di ricerca guidato da Robert Buck, un chimico impiegato alla DuPont di Nemours, secondo cui i Pfas sono composti alifatici, cioè a catena aperta lineare o ramificata, altamente fluorurati con uno o più atomi di carbonio (C) nei quali tutti i sostituenti sono rappresentati da atomi di fluoro (F) e contenenti il gruppo perfluoroalchilico CnF2n+1. Recentemente, un gruppo di ricerca del Politecnico federale di Zurigo, ha dato una nuova definizione di Pfas intesi come sostanze fluorurate che contengono almeno un atomo di carbonio metilico o metilenico completamente fluorurato (cioè senza alcun atomo di idrogeno, cloro, bromo o iodio). Questo significa che qualsiasi sostanza con almeno un gruppo metilico perfluorurato o un gruppo metilenico perfluorurato deve essere considerata uno Pfas. Chiaramente, con questa nuova definizione, il numero di Pfas in circolazione aumenta molto e, di conseguenza, anche la necessità di conoscerne le caratteristiche, l’eventuale pericolosità e come regolamentarle. Il primo Pfas, il politetrafluoroetilene (Ptee), fu ottenuto quasi per caso dal chimico della DuPont Roy Plunkett nel 1938, mentre stava lavorando alla realizzazione di un nuovo refrigerante per frigoriferi. Il composto ottenuto mostrava delle proprietà notevolmente interessanti, era scivoloso e insolubile e pochi anni più tardi venne commercializzato con il nome di «Teflon». Nel giro di pochi anni furono realizzati molti nuovi composti Pfas e, dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, il loro numero aumentò enormemente. Di alcuni di essi conosciamo le caratteristiche e la tossicità più o meno elevata a seconda del tipo di molecole, ma di altri non si sa nulla. I Pfas più diffusi sono il Pfoa (acido perfluorottanoico), che è stato ampiamente usato come rivestimento per carta e capi d’abbigliamento (il «Goretex») e il Pfos (acido perfluorottansolfonico) usato nelle schiume antincendio, nelle vernici, negli impregnanti per arredi e nei polimeri fluorurati. In entrambi i casi si tratta di molecole a lunga catena di atomi di C, quelle ritenute più tossiche per la salute. Successivamente alcuni di questi, tra cui il Pfoa furono sostituiti da Pfas a catena corta come il cC604 (6 atomi di C), poiché questi vengono eliminati più rapidamente dall’organismo. Il problema è che essi rientrano tra le cosiddette «regrettable substitutions», cioè sostituzioni deplorevoli, perché permangono nell’ambiente indefinitamente, li assumiamo tramite l’acqua e gli alimenti e hanno capacità di bioaccumulo. I Pfas sono sostanze molto mobili e capaci di diffondersi ovunque. Anche nel caso in cui una di queste molecole non sia considerata altamente tossica, è comunque molto preoccupante pensare ai possibili effetti di un’esposizione continua e per lunghi periodi a essa. Di fatto attualmente non sappiamo quanti siano i Pfas. Le loro proprietà variano a seconda del tipo di catena (corta, lunga, lineare, ramificata) e dei sostituenti presenti, tuttavia sono tutti caratterizzati da elevata stabilità termica, chimica e fisica, dovute al legame tra C ed F, uno dei più forti in chimica organica. (R.N.T.) Dal Teflon al Goretex COSA SONO I PFAS E I LORO DERIVATI NOSTRA MADRE TERRA

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