Missioni Consolata - Luglio 2023

Déby, dopo un processo nella prigione di Klessoum, vicino alla capitale, durato circa un mese e a porte chiuse. L’accusa parla di «atti di terrorismo, arruolamento di bambini e attentato alla vita del capo dello Stato», ma la condanna assomiglia molto a un regolamento di conti specialmente con il Fact, uno dei gruppi più attivi e minacciosi presenti nel nord del Paese, dove è implicato anche nello sfruttamento delle miniere d’oro. La capitale e l’interno Oggi la situazione è apparentemente calma. E non è solo il caldo soffocante, con le temperature che si aggirano attorno ai cinquanta gradi, che azzerano ogni tipo di iniziativa, facendo sembrare città e villaggi, nelle ore centrali della giornata, dei luoghi fantasma. La capitale N’Djamena è costantemente «blindata» dalle forze di sicurezza ciadiane. A scoraggiare possibili attacchi e incursioni è anche la presenza di considerevoli contingenti stranieri, in primis, quello francese che, «cacciato» dal resto del Sahel, ha consolidato in Ciad un’importante presenza militare per controllare - dal cuore dell’Africa e al crocevia tra mondo arabo musulmano e regione subsahariana - anche quello che succede tutt’intorno. Fuori da N’Djamena, però, il Paese sembra abbandonato a se stesso. Strutture e infrastrutture sono quasi inesistenti o ridotte in uno stato pietoso, comprese le due strade principali, quella che costeggia il fiume Logone al confine con il Camerun e che scende verso sud, e quella che taglia il Paese da ovest a est: due assi viari strategici che, per lunghi tratti, sono impraticabili a causa delle enormi buche che obbligano a percorrere piste sabbiose ai lati. Per non parlare dei sistemi educativo e sanitario. Nel Paese, solo un quarto della popolazione è scolarizzato e appena il 14% delle donne. Gli unici ospedali degni di questo nome sono nella capitale, mentre nella maggior parte dei dispensari c’è a malapena personale infermieristico. Più del 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. E i prezzi di cibo, carburante, beni di prima necessità continuano a crescere, anche in conseguenza della guerra in Ucraina. Il Paese è sull’orlo del fallimento a causa del debito estero e si piazza al penultimo posto (seguito solo dal Sud Sudan) nell’indice dello sviluppo umano dell’Undp. Quanto a vulnerabilità climatica - ovvero alla capacità di resistere e di reagire all’impatto del clima - è il peggiore al mondo. 26 CIAD Oltre un milione i profughi di altri paesi in Ciad IN ARRIVO GENTE IN FUGA DAL SUDAN Il Ciad è un paese di 18,5 milioni di abitanti, tra i più poveri al mondo. Fra le molte sfide che deve affrontare c’è anche quella di una presenza molto significativa di sfollati e profughi. I primi fuggono soprattutto dai conflitti interni o sono costretti a lasciare le loro case e villaggi a causa delle ricorrenti e devastanti inondazioni. Quanto ai profughi, provengono dai Paesi vicini, essi stessi interessati da situazioni di conflitto o instabilità. Secondo l’Alto commissariato Onu per i profughi (Unhcr), già prima della crisi in Sudan, scoppiata lo scorso 15 aprile, erano più di un milione, tra cui 580mila rifugiati provenienti soprattutto dalla Repubblica Centrafricana e dal Camerun, oltre che dalla precedente guerra in Darfur. Lo scoppio di nuove ostilità nel vicino Sudan tra l’esercito governativo e i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf), ha provocato un nuovo massiccio spostamento di popolazione dentro e fuori il Paese. Nel giro di poche settimane centinaia di migliaia di persone si sono riversate in Egitto, Repubblica Centrafricana e Ciad. In quest’ultimo, sono oltre 60mila quelle che hanno passato il confine dopo il primo mese di conflitto. Secondo l’Unhcr, «quasi il 90 per cento è composto da minori e donne, tra queste molte di loro sono incinte. Un quinto dei bambini tra i 6 e i 9 mesi sottoposti a screening è risultato gravemente malnutrito». Anche fratel Fabio Mussi, missionario del Pime in Ciad e responsabile dei progetti sociali del vicariato di Mongo, che si è recato sul posto, testimonia di una situazione disperata: «Le persone sono accampate in campi di fortuna sotto misere tende in attesa degli aiuti umanitari. Aiuti che faticano ad arrivare perché si tratta di zone remote che diventano inaccessibili non appena inizia la stagione delle piogge». Fratel Mussi si è già attivato insieme alla Caritas di Mongo per far arrivare cibo e beni di prima necessità e ha inviato due camion per realizzare dei pozzi e garantire acqua potabile prima che le piogge rendano le strade impraticabili. Anna Pozzi | MC | LUGLIO 2023

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