Missioni Consolata - Novembre 2021

ssier 26 novembre 2021 La Guajíra autentica Nonostante questo processo, però, la Guajíra au- tentica esiste ancora. La si trova, ad esempio, nel mercato di Los Filuos, alle porte di Paraguaipoa, dove confluiscono gli indigeni da tutta la peni- sola per vendere e comprare capre, pecore, pelli e prodotti del loro artigianato, per rifornirsi di fi- luos (banane da cuocere), riso, carburante, uten- sili, qualche machete, e anche pallottole. La Guajíra si scopre nei cimiteri dispersi nella pe- nisola, durante i velorii (veglie funebri) per i morti: là gli uomini, a volte ancora in guayuco (perizoma), e le donne, avvolte nella manta (ve- stito dai colori vivaci, lungo fino ai piedi), cele- brano i riti della vita e della morte, seguendo una tradizione antica. La Guajíra si scopre ancora nelle carovane di donne e bambini che attraversano la savana pol- verosa, abbarbicati sui loro asini sotto il sole in- clemente, per cercare l’acqua lontana. E si ritrova ancora di più inoltrandosi tra i palmeti dove sor- gono piccoli abitati di poche case nascoste tra le dune: minuscole monadi, tagliate fuori dal mondo, fatte di silenzio, lavori di tessitura, orti- celli coltivati a mais e yuca (manioca), recinti di capre e pecore. Ambienti familiari semplici: ca- panne nelle quali di notte si appendono le ama- che per dormire, con un recinto di pali riservato alla cucina e la enramada (tettoia) di rami di palma, alla cui ombra si svolgono le attività diurne, si ricevono i visitatori e si legano le ama- che per fare la siesta nei momenti più caldi della giornata. Questi piccoli villaggi si chiamano rancherie e sono distanti qualche chilometro l’uno dall’altro per facilitare il maneggio delle greggi. S.F. I Guajíros Diviso in due dal confine tra Venezuela e Colombia, il popolo indigeno della Guajíra lotta da secoli per preservare identità, tradizioni e lingua. Molti si stanno urbanizzando. Molti altri resistono. MC I Guajíros sono una vasta etnia che abita le terre desertiche della Guajíra, la penisola che si protende verso il mare dei Caraibi, a ca- vallo tra Colombia e Venezuela. Si conoscono tra loro come wayú (persona) e chiamano aliju- nas (stranieri) i bianchi e i meticci. Dal 1833 vivono divisi da una frontiera arbitraria che assegna un quinto del loro territorio al Vene- zuela, e tutto il resto alla Colombia. Le alte temperature unite agli scarsi rilievi monta- gnosi, la mancanza di corsi d’acqua e i forti venti dell’Est, fanno della Guajíra un deserto semi arido e inospitale, dove possono trascorrere mesi, e a volte anni, senza che si registrino preci- pitazioni importanti. Secondo l’ultimo censimento del 2011, la popola- zione wayú residente oggi nella parte venezue- lana della penisola, conta 415mila persone (380mila nella Guajíra colombiana). Una forte mi- grazione verso la vicina città di Maracaibo, im- portante centro petrolifero del paese, ha formato interi quartieri nei quali vivono, pare, più di 60mila Guajíros. Nel contesto urbano di Maracaibo si è determi- nato un veloce processo di perdita dell’identità culturale da parte degli indigeni che hanno su- bito l’imposizione dei modelli della società dei «bianchi». Molti abbandonano le tradizioni, per- dono il senso dell’importanza dei clan, e persino la loro lingua madre. Per quanto riguarda la condizione economica, in Guajíra non esistono fonti di lavoro o di guada- gno: alcuni, pochi, si dedicano alla pastorizia, all’agricoltura o alla pesca. La maggioranza so- pravvive nella marginalità con attività informali, tra le quali il narcotraffico e il contrabbando dalla Colombia. Quest’ultimo contribuisce a indebolire la fami- glia, i cui componenti passano gran parte della vita viaggiando. Nelle case rimangono anziani e bambini abbandonati a se stessi.

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