Missioni Consolata - Luglio 2015

Cari mission@ri libro che contiene tutte le preghiere dei fedeli per ogni circostanza e si dicono cose senza senso a cui il popolo risponde meccanicamente «A- scoltaci, Signore». Que- sto è ammazzare la Li- turgia. Il gesuita Matteo Ricci nel sec. XVII cercò di farsi cinese con i cinesi, man- darino con i mandarini e per questo fu accolto con rispetto e dialogo. Egli non impose la Liturgia romana, ma cercò di ca- pire l’anima cinese per esprimere il cuore di quel grande popolo an- che nella preghiera. Da Roma gl’imposero di mettersi la pianeta, il manipolo e di osservare scrupolosamente il ri- tuale latino romano. La Chiesa perse la Cina. Unità e diversità Non esiste una Liturgia unica per tutti, ma esi- stono tanti modi per dire il rapporto con il Dio in- carnato in Gesù Cristo quanti sono i popoli e le culture nel mondo. La vera Liturgia esige la di- versità come condizione di unità, mai l’uniformità. Il sig. Giuseppe Corti ci invita a riflettere, questo sì, e gli siamo grati, a non addormentarci sul già visto, a purificare o- gni tempo e ogni epoca di ogni scoria e sovra- struttura per ritornare alla genuinità del Vange- lo per imparare a legger- lo e a viverlo con lo spiri- to e l’anima del nostro tempo. Se Dio è in mezzo a noi, occorre che i cri- stiani lo testimonino an- che esteriormente, ma senza alterigia, affinché il volto del Padre possa essere sperimentato nel volto di chi crede, perché risplende in esso «im- magine del Dio invisibi- le». Per fare ed essere questo, è necessario camminare coi tempi, se vogliamo arrivare in tempo. Paolo Farinella, prete 09/05/2015 ca di un nuovo modo di relazionarsi tra gli uma- ni, basato sulla fraternità (Regno di Dio/dei cieli), non espone regole o nor- me o galateo e tanto me- no un rituale. Sarebbe ben triste se così fosse, perché come dice Gesù nella sinagoga di Cafar- nao in Lc 4: «Oggi si è a- dempiuta nei vostri orec- chi questa Parola». Oggi, vuol dire in ogni tempo e per tutti i tempi. Non è solo l’oggi di quel giorno, di quel sabato, ma l’«og- gi» dell’uomo che ascol- ta e che cerca il volto di Dio come la cerva del salmo 42. Liturgia e religione La Liturgia è strettamen- te connessa alla religione che si esprime attraverso due categorie storiche: il tempo e lo spazio. Poiché l’uomo ha paura di tutto, della vita, della morte e della natura, sente l’esi- genza, il bisogno di ricor- rere alla protezione della potenza di Dio con cui sti- pula un contratto: tu, Dio, mi proteggi e io ti riservo un tempo sacro (domeni- ca) e uno spazio sacro (tempio/chiesa). Questi due contatti sono collo- cati fuori della disponibi- lità umana perché sono gestiti «separatamente» dai custodi del sacro, cioè la casta sacerdotale che assume su di sé il privilegio (o la presunzio- ne?) di parlare in nome di Dio. Da qui al rito solen- ne, il passo è breve per- ché più la liturgia è so- lenne più si dà importan- za al tempo e allo spazio sacri, ma nello stesso più si espone Dio all’obbligo della protezione. Detto più semplicemen- te: in un regime di reli- gione, che è un bisogno umano come antidoto al- la paura esistenziale, la Liturgia esige teatralità per esprimere la parteci- pazione anche del corpo attraverso gesti, ritmi e cantilene, che gli danno la sensazione di entrare nel mondo del divino da cui è escluso per defini- zione: Dio non l’uomo. Liturgia e fede Diverso è il regime della fede che è un incontro con una persona reale e sperimentabile. Per me è la persona di Gesù di Nazareth che io ho in- contrato attraverso l’e- sperienza degli apostoli e che ha segnato la mia vita come quelle di mol- tissimi altri e altre. Men- tre la religione si esauri- sce nel fatto materiale (andare a Messa, confes- sarsi, andare in proces- sione, accendere una candela, ecc.) e non esi- ge adesione etica o sen- timentale, la fede espri- me un rapporto affettivo che si consuma nell’in- namoramento. Per cui la Liturgia è tipica degli in- namorati. Le persone in- namorate vivono di desi- derio, di fisicità, di con- tatto, di scambio d’idee, di condivisione di senti- menti, emozioni, ansia, tremore, paura, e tutto questo si traduce in «Li- turgia» d’amore: il rega- lo confezionato, il bacio inviato via sms, il lin- guaggio riservato ad e- sclusivo uso degli inna- morati, il modo di vestirsi o di scegliere il vestito in vista dell’incontro con l’amante, la gestualità che è insita e istintiva tra innamorati. Liturgia cristiana Se non si capisce questa distinzione, non è possi- bile accedere alla Litur- gia cristiana che, stori- camente, si è sviluppata come dimensione solo «religiosa», cioè esterio- re, per controllare le masse, per catechizzarle creando un modello di u- niformità che è più facile gestire. Solo alcuni pic- coli gruppi e spesso solo singole persone hanno vissuto la Liturgia come «teo-antropo-drammati- ca», che si nutre di dubbi più che di certezze, di desiderio più che di ri- tualità, di silenzio più che di parola. Alcuni mona- steri, comunità di base, famiglie, piccoli gruppi parrocchiali o missionari hanno, anche in mezzo alle persecuzioni eccle- siali, tentato e vissuto la Liturgia come momento di coscienza, anzi, come «sacramento» (segno portatore) dell’intima u- nione con Dio e con gli uomini e le donne del lo- ro mondo. La Liturgia fino al 1967 è stata prevalentemente un rituale, dominato dal- le «rubriche». Dopo, con la riforma di Paolo VI, in ottemperanza al dettato del concilio Vaticano II, è venuta fuori una Liturgia in lingua «volgare» (non si osava nemmeno dire «lingua popolare») che è stato solo un timidissimo inizio, abortito immedia- tamente perché tutto si è arenato per la paura di perdere il controllo della gente. Quindi si è subito inoculato il virus del rim- pianto e del ritorno in- dietro, perfettamente riuscito. Se si prendono le preghiere eucaristiche in italiano, comprese le due anafore per le cele- brazioni con i bambini, è evidente che la forma è in lingua italiana, ma il contenuto e la «mens» sono latini. Il liturgo si è preoccupato più dell’in- tegrità delle formule che non della partecipazione dell’Assemblea, esauto- rando la stessa liturgia che è « lèiton èrgon – a- zione popolare», cioè collettiva. Nella Liturgia latina, il popolo è assente: può solo e sempre dire «A- men». Addirittura si è arrivati al ludibrio di con- fezionare preventiva- mente la «Preghiera uni- versale», cioè la preghie- ra dei fedeli che dovrebbero potere inter- venire liberamente, co- me sono ispirati sul mo- mento o come si sono preparati preventiva- mente. Invece in ogni Messa che si rispetti, do- po il Credo, si tira fuori il LUGLIO 2015 MC 7

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=