Missioni Consolata - Aprile 2015

APRILE 2015 MC 39 Tunisin i di Sicilia Pescatori, braccianti, ma non solo. A Mazara del Vallo risiede il più antico nucleo di immigrati tunisini di tutto il territorio italiano. Qui la presenza tunisina ha piuttosto il signifi- cato di un ritorno: l’economia della pesca favorisce la riappropriazione da parte degli immigrati di luo- ghi in qualche modo a loro familiari, come la vec- chia casbah araba, abitata fino a nove secoli prima dai loro antenati. L’immigrazione tunisina in Sicilia inizia verso la fine degli anni Sessanta, ma è a partire dal 1985, quando la Tunisia attraversa una terribile crisi economica e 30mila tunisini sono espulsi dalla Libia, che si regi- stra un primo ingente arrivo di migranti. Si tratta di uomini soli, occupati, appunto, come pescatori nel trapanese, ma anche come braccianti stagionali nella provincia di Ragusa, la quale negli anni diventa la «capitale» dei tunisini soggiornanti in Italia. A partire dal 1990 aumentano gli ingressi regolari per lavoro e ricongiungimento familiare. Ahmed è nato a Vittoria e fa il mediatore culturale in un centro di prima accoglienza per minori non ac- compagnati a Priolo Gargallo (zona ad alto rischio ambientale per la presenza, nel triangolo compreso tra questo comune e quello di Augusta e Melilli, di un importante polo petrolchimico). I genitori ave- vano riportato Ahmed in Tunisia all’età di 8 anni, e lui è tornato in Italia solo quando ne aveva 18 e i tempi per la richiesta della cittadinanza erano già scaduti. Ci racconta di come gli «stranieri come lui» abbiano ripopolato alcuni comuni della provincia iblea, svuotati dall’emigrazione dei siciliani verso il Nord, e di come nelle serre tra Vittoria e Gela, dove lavorano in condizioni di semischiavitù tunisini e ru- meni (soprattutto donne), sia possibile trovare an- che molti immigrati prelevati direttamente al mo- mento dello sbarco o dai centri di prima accoglienza in cui erano ospitati. S.Z. DOSSIER MC SICILIA MIGRANTI Da sinistra in alto : la prua della barca Venere. Notare l’«occhio scaccia guai» e l’immagine di San Giovanni Battista. | Una veduta del cantiere Rodolico. | I resti del peschereccio «Water world». | Due membri della famiglia di maestri d’ascia Ro- dolico, Salvatore (a sinistra) e Giovanni. ziani del paese. Loro sono sempre lì: in silenzio, l’uno accanto all’altro, a fissare l’orizzonte. Sono quelli che non se ne sono mai andati, ligi al monito di verghiana memoria: «Per me io voglio morire dove sono nato. Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a morire lontano dai sassi che ti conoscono». Il continente liquido: confine di mescolamento tra Nord e Sud Fino a tempi recenti, erano pochi i pescatori che sapessero nuotare, come i migranti che oggi af- frontano il mare senza averlo mai visto, immagi- nandolo come il Niger, il Gambia, o come il fiume del loro villaggio. «Contadini del mare» vennero definiti i pescatori da De Seta in un documentario del 1955. Le loro sortite infatti non erano che un intervallo o un se- condo lavoro rispetto a quello del contadino. «Per- ché il mare è amaro e incute timore, il mare è fa- tica e insicurezza, il mare è guerra». Come «la guerra del pesce» 11 che i pescatori sici- liani combattono da quarant’anni nel canale di Si- cilia, in cui, per una tragica ironia della sorte, i loro destini s’incrociano con quelli dei migranti, e che dal 2011, anno dell’«emergenza Nord Africa», si è aggravata: a sequestrare le unità da pesca ita- liane in acque internazionali ora sono anche le motovedette fornite tempo fa a Gheddafi dal go- verno italiano per contrastare l’immigrazione clandestina. Il maggiore ambito di azione nelle ac- que internazionali riconosciuto alle motovedette a bandiera libica ha dato il colpo di grazia a un set-

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