Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2013

AGOSTO-SETTEMBRE 2013 MC 17 zica le corde dei donatori inter- nazionali, la chiave per allentare i cordoni della borsa. La politica resta un gioco da equilibristi, dove le alleanze sono determi- nate dagli interessi in gioco. «Possibilità d’investimenti» è pertanto la formula che schiude scenari futuri e che ridisegna la geografia regionale e le rotte della diaspora, pragmatica- mente proiettata sempre più verso l’Africa orientale e meri- dionale ricche di opportunità, sempre meno verso l’Occidente della crisi e dei sospetti. «In Europa è sempre più difficile fare affari», dice Bashir, citta- dino britannico, imprenditore edile con investimenti nel Golfo Persico. «Possiamo ricostruire la Somalia da zero. Mogadiscio può diventare la prossima Du- bai». Lui crede nel suo paese: può permetterselo. Può permet- tersi i 100 dollari a notte degli alberghi di lusso presidiati come fortezze e i 20 dollari al giorno per ogni guardia della sua scorta, quando viaggia nella ca- pitale somala, una volta al mese. Non ha bisogno di pagare quando si reca più a Nord, a Gal- qayo, nella regione dove domina il suo clan, Hawyie . Indicativa della nuova aria che si respira in Somalia è l’affabilità con cui parla con Axmed Dhadin e Cab- dullahi Moxamed. Il primo è un businessman con passaporto del Kenya: un somalo kenyota, come quegli oltre due milioni che vi- vono (secondo statistiche uffi- ciose) nella provincia Nord orientale. Ma nei fatti il confine con la Somalia è sempre stato solo sulle mappe. I legami di sangue con il proprio clan annul- lano qualunque frontiera. E Ax- med è un darod ogaden : nei vent’anni di anarchia che hanno lacerato la Somalia, lui e Bashir (o, meglio, i loro clan) si sono spesso trovati su fronti opposti. Anche Cabdullahi Omar è un da- rod ogaden , ma con carta d’iden- tità da rifugiato. Vive a Nairobi da sei anni. Grazie all’aiuto di Ax- med, ha evitato il campo profu- ghi di Dadaab (vedi MC gennaio 2012), al contrario di centinaia di migliaia di somali con meno ap- poggi di lui. I L DIFFICILE PROCESSO DI STABILIZZAZIONE TORNARE A ESSERE UN PAESE Dal 2012 la Somalia vive un complicato processo politico. Con un nuovo presidente e un governo che non controllano il territo- rio. Mentre continua la presenza di militari stranieri. E a Londra si celebra la Conferenza internazionale per la Somalia. I l 7 maggio scorso a Londra, il pre- mier britannico David Cameron ha organizzato la seconda Conferenza internazionale sulla Somalia. Vi hanno partecipato 50 paesi e organi- smi internazionali (Italia compresa), allo scopo di spingere sul processo di pace e la normalizzazione del paese. È nel febbraio dello scorso anno che i leader somali (governo federale tran- sitorio, Tfg, e leader regionali) si in- contrano per fissare i prossimi passi. Nel giugno gli stessi leader approvano una bozza della nuova Costituzione, che viene poi approvata a grande maggioranza dal parlamento (i cui deputati risiedono a Nairobi). Il parlamento federale somalo si insedia il 20 agosto 2012 e dà origine al governo federale. È questo parlamento che elegge l’attuale presi- dente, Hassan Sheikh Mohamud, il quale nomina il primo ministro Abdi Farah Shirdon. È proprio il presidente, ben visto dalla comunità internazionale, che presiede la conferenza insieme a Cameron. I l presidente Mohamud vuole raccogliere soldi per ricostruire la Somalia e creare alleanze. L’Unione europea ha promesso 44 milioni di euro e la Gran Bretagna circa 29 per esercito, polizia e sistema giudiziario. La questione «sicurezza» rimane infatti cen- trale per pensare alla stabilizzazione del paese. L’assetto che si pensa è di tipo federale, tenendo in conto che due regioni, il Somali- land e il Puntland (non rappresentate alla conferenza), si sono di- chiarate indipendenti rispettivamente nel 1991 e 1998, senza mai es- sere riconosciute dalla comunità internazionale. I l governo che si è insediato nel novembre 2012 è il primo a es- sere riconosciuto da Usa e Fondo monetario internazionale dal- l’inizio della guerra civile nel 1991. Governo che, ancora oggi, è appoggiato dai 18.000 militari dell’Amisom ( African Union Mission in Somalia ) di cui fanno parte Burundi, Uganda, Kenya (con 5.000 uomini), Gibuti e Sierra Leone. Sono presenti inoltre truppe etiopi. Ma, garantisce il presidente alla conferenza di Londra, entro il 2015 il governo sarà in grado di gestire direttamente la sicurezza. Gli islamisti di Al Shabaab (vedi MC novembre 2012) sono però sempre attivi, anche se hanno perso forza, e hanno colpito con due attentati aMogadiscio il 14 aprile scorso, causando 45 morti. Hanno poi replicato il 5 maggio (11 vittime). Cacciati dalla capitale nell’ago- sto 2011, gli Al Shabaab continuano a imperversare con azioni di guerriglia. Marco Bello ( continua a pagina 20 ) MC ARTICOLI © AFP Photo / AU-UN ST Photo / Stuart Price

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