Missioni Consolata - Luglio 2013

bora con Caritas da anni. Solo dal 2010 a oggi sono quattordici i progetti dei missionari della Consolata che Caritas ha soste- nuto in Africa, Asia e America Latina. Ne passiamo brevemente in rassegna alcuni, quelli che meglio permettono di illustrare i diversi tipi di intervento. Il progetto Emergenza zud ha permesso di assecondare lo sforzo dei missionari nel soste- nere le comunità colpite nel 2010 in Mongolia da un’ondata ano- mala di gelo che aveva messo in ginocchio migliaia di persone e il bestiame da cui queste dipende- vano. Si è trattato di un tipo di in- tervento contemplato da Caritas, quello appunto di risposta alle testo a contesto e da missionario a missionario, il microprogetto è il modo più efficace per coniu- gare semplicità e rigore e per consentire alle comunità di ac- quisire dimestichezza con lo strumento del progetto. Missioni Consolata Onlus colla- emergenze, che però riserva fin da subito un occhio attento al «dopo» per non creare dipen- denza nelle popolazioni soccorse e per ideare fin da subito strate- gie di stabilizzazione post-crisi umanitaria. Il progetto Avvio di un alleva- mento di capre a Monte Santo, Bahia (Brasile) è un esempio di attività generatrice di reddito im- perniata sull’acquisto e distribu- zione di capre a un gruppo di fa- miglie locali, che si sono impe- gnate a fornire come contributo locale i serragli per il bestiame. Nel medio periodo, l’intenzione è quella di passare dalla produ- zione di latte per l’autoconsumo alla vendita a una cooperativa lo- cale che produce latticini. Il progetto Formazione profes- sionale delle ragazze di Bisengo Mwambe, Kinshasa (RD Congo) ha permesso a sessantadue ra- gazze congolesi di ricevere for- mazione in sartoria e disporre delle macchine da cucire e della stoffa necessarie per la pratica e la produzione, a fine corso, di manufatti per la vendita. Chiara Giovetti LUGLIO 2013 MC 75 MC RUBRICHE 2. L’educazione alla mondialità è fondamentale, specialmente oggi, ma a volte rischia di raggiungere solo gli addetti ai la- vori e chi già ha sviluppato questo tipo di sensibilità. Che cosa si può fare per raggiungere fasce sempre più ampie di cittadini e come la si può «raccontare» in modo che emerga in modo comprensibile a tutti la sua rilevanza nell’oggi? Per uscire dalla «cerchia degli ad- detti ai lavori» una strada, che ri- tengo vincente oggi, è quella di ri- proporre con forza, a tutti gli uo- mini di buona volontà, dei segni concreti che riportino la dimen- sione della mondialità a essere trasversale e strettamente con- nessa alle azioni di solidarietà in- ternazionale e tutela dei dritti: si- gnifica costruire, proporre, realiz- zare progetti «parlanti». 3. Una domanda scomoda: che cosa risponderesti a chi dice che i microinterventi ri- schiano di essere delle «pezze» che tengono faticosamente in- sieme nell’immediato delle realtà nel Sud del mondo? Non pensi che richiederebbero un ripensamento molto più ampio circa le dinamiche alla base della povertà, dell’ingiu- stizia, dell’esclusione e un cambio di rotta più netto (specialmente da parte delle élites politiche locali) nella direzione di una più equa di- stribuzione della ricchezza? Rispondo che l’efficacia di un mi- croprogetto di sviluppo pensato, progettato e realizzato dagli stessi soggetti che si trovano in un deter- minato bisogno, ha fin dalla sua fase di studio la stessa altissima possibilità di successo di un grande progetto, che in fondo è co- stituito da tanti microprogetti. La costruzione di risposte dal basso, pensate da chi ne dovrà benefi- ciare, rappresenta in tutte le parti del mondo, oggi in particolar modo, non una «pezza» ma un ve- stito di tessuto pregiato, il pregio derivando dal fatto che trama e or- dito sono un originale intreccio di peculiarità, conoscenze e «voglia di fare» locali. C. Gio. # Dall’alto a sinistra: le caprette di Monte Santo; la scuola di cucito a Kinshasa; scena invernale in Mongolia. © Af.MC/Daniele Giolitti - Mongolia 2010

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