Missioni Consolata - Gennaio 2006

DOSSIER sempre come obiettivo i bisogni del tempo, del luogo e soprattutto delle persone. Nella carità non c'è spazio per sfaccendati e accidiosi; la forza dei santi e dei profeti è soprattutto di «dire e fare». Davanti al pericolo di tante parole... «Signore, Signore», S. Giacomoci allerta: <Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (Gs 2,26). Ad ogni cristiano dovrebbe inte· ressare la vita dei fratelli dimenticati che il vangelo mette ai primi posti. La società, malata di primi posti per emergere e di competitività sfrenata per ingordigia, sforna continuamente e sempre più forme di disagio affettivo e disturbi comportamentali, il «paradiso terrestre» promesso a tutti è accessibile solo ai soliti fortunati. La solidarietà senza misura, traboccante e continua per gli ultimi della terra, gli amici di Dio, è la risposta e l'impegno di tutti coloro che hanno cercato il Signore con cuore sincero. «Agape, Madre dell'accoglienza» è un impegno, un tentativo di risposta a chi si trova in difficoltà psichiche vivendo esclusioni e segregazioni. Persone che gridano il loro dolore e che sono definite disturbate e pericolose, sono messe al bando il più delle volte anche dalle proprie famiglie. Desideriamo dire a questo mondo isolato, calpestato ed escluso che ci «interessa, ci sta a cuore» la loro dignità di esseri umani fragili e bisognosi di accoglienza. Una fragilità che si incontra con la nostra fragilità fatta di paure, di prevenzioni, di fughe e di trascuratezza. il vangelo di Marco nel capitolo 5, 120, ci parla di Gesù che incontra il «folle»; Lin uomo aggressivo, isolato dagli altri, che provoca paura... Gesù si avvicina, lo incontra, lo sguarisce, lo libera, lo riabilita... rompe il cerchio della solitudine e dell'esclusione nello stargli accanto ascoltando il suo grido, accogliendo il suo bisogno e rispondendo alle necessità di affetto. La vita umana vale più di ogni altro bene, lo scriviamo sui muri, nei libri, sulle magliette, negli slogan pubblicitari, lo sosteniamo anche con il referendum, madavanti al fratello bisognoso, che chiama e grida rispondiamo come Caino: «Sono forse io custode di mio fratello?» Gn 4,9. La sopravvivenza di chi si trova nella difficoltà non fa parte del nostro impegno di vita e deleghiamo ad altri le responsabilità. Molte volte la ricerca smodata di rituali eccessivi, inebriata dal fumo dell'incenso, da canti sofisticati, perfino con l'eccessiva abbondanza di suppellettilì liturgiche... può appagare il nostro ego e il nostro contatto con Dio che costruiamo a immagine e somiglianza di noi stessi, facendoci dimenticare il fratello bisognoso, abbandonandolo proprio sul sagrato del tempio in cui ci rifugiamo. Il nodo della questione è il nostro coinvolgimento personale, «metterci del proprio», non tanto in soldi o intenzioni, ma mettendoci del proprio tempo e del proprio cuore. «Mettersi in gioço» per difendere la sacralità di ogni vita umana soprattutto quella debole, quella che da sola non si regge, quella che più riflette l'amore e la fragilità di Dio incarnato in mezzo a noi nelle sembianze e nei cuori di questi fratelli «speciali». Molte volte la paura ci paralizza, l'egoismo ci frena e la nostra arroganza ci fa cambiare strada perché percorrere la strada di Sopra: foto ricordo di una gita. A lato: l'abbaziadi Vezzolano, vicina al paese di Albugmino (Asti). ~----------------------------------------7---------------------------- 42 ■ MC GENNAIO 2006

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=