Missioni Consolata - Gennaio 2006

' I ITALIA ■■ ■■ ■■■■ ·-----------------------------------------------------------------------~----------------------------------- Favorire le organizzazioni popolari rendendole autonome sotto il profilo economico mi sembrava una buona scelta.Altri miei amici, che adistanza di anni devo ammettere essere stati molto più bravi di me, hanno fatto delle scelte più radicali: si sono limitati a chiedere qualche cosa di essenzialeedi piccola entità. Nella mia personaleesperienza non mi è mai accaduto di dovermi confrontarecon la povertà di mezzi di cui, generalmente,patiscono i colleghi della chiesa locale.Come succededi frequente in Africa. Unostiledi sobrietà oppure di povertà radicale bisogna saperselo co- ' struireogni giorno nella libertà enella gioia.Un sobrio contento è sicuramentemeglioche un povero scontento.Ho trovato che i poveri contenti sonogeneralmente dei creativi,che usufruiscono in maniera diversa da tutte le realtà della vita. Mi diceva un prete povero:«Quando guardo la catena di montagne, nella limpidezza di un mattino di sole, mi dico:guarda che spettacolo gratuito di cui posso godere,sempre amia disposizione». La doppia appartenenza, inoltre, dovrebbe offrireal fideidonum validi criteri per aiutare la chiesa di origine agiudicare sull'opportunità o meno di certeopereche,visteesclusivamente con occhiooccidentale, rischiano di essere considerate necessarie o comunque molto utili. Non si tratta di fare i professionisti della profezia e,menoancora, di sentirsi investiti di tale ruolo;ma semplicementedi metteredavanti aogni altro criterio il dirittodei poveri ai beni della chiesa edi farlo con quella insistenzache di solito caratterizza le richieste del povero. Abbiamo assolto al nostrocompito? Sembra che nei piani alti del potere ecclesiastico ci sia stata, nel passato, una certa preoccupazione nei confronti dei fidei donum che si ~inseriscono in diocesi. Forse, oggi, i timori sonostati almeno in parte digeriti. Personalmente credo che,almeno per quanto ci riguarda, noi non abbiamo assolto totalmenteal nostrocompito nel farci portavoce nella profezia dei poveri del mondo. In tutti questi anni, non abbiamo sentito il bisognodi trovarci in gruppo, per riflettere insieme su ciò che via via accadeva nella nostra chiesa. Non c'è stato neppure il tentativo, comeè successo in qualche altra diocesi,di ritrovarci periodicamente insieme. La nostra inerzia di gruppo ha probabilmente rassicurato moltochi nutriva dei timori nei nostri confronti. Credo che abbia giocato non poco anche la differenza tra il servizioalla chiesa latinoamericana e quella africana. Abbiamo saputo trasferire solo parzialmentequel clima di libertà e çreatività all'interno del vivere ecclesiale,che hannoassicuratoquel sentimento di pienezza e autorealizzazione sperimentatoquandoeravamo in missione.Ora in sede di bilancio,mi paredi dover concludere che ci si trova di fronte ad un'eredità , un po'dilapidata equasi inesistente per le giovani generazioni di preti. Abbiamoqualch,emedaglia sul petto,magari di dubbia lega,ma siamo rimasti senza eredi,anche per colpa nostra. ■ ·--------------------------------------------------------------------------------------------- 14 ■ MC GENNAIO 2006

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