Missioni Consolata - Gennaio 2006

- ■ ITALIA ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ~-------------------------------------------------------------------------------------------------- l gio,alla ricerca di una maturazione di fede e di una vocazione cristiana mai conclusa. C'è allora il rischio che <(questo scambiodi doni» si trasformi in un fatto burocratico; in un atto che prescindedalla storia della persona e che perciò tendea non recepire le ragioni del «fecondodisagio» che ha condotto a questa scelta e gli stimoli culturali e spirituali della stagione nella quale essa si è espressa. Ciò impediscedi capire anche la successioneche,guardata dall'esterno, potrebbesembrare incoerente, ma che in realtà si produce per dinamica interna rispetto aquei «punti di partenza.» che hannocaratterizzato «gli inizi». La missione inAnaunia I tre Cappadoci che in origine probabilmente parlavano greco,che presumibilmenteconversavano con Ambrogio in latino, sono inviati daVigilio nella regione «barbara» di Anaunia (Val di Non} e restarvi per annunciare il vangelo. Sarebbe sbagliato pensareche in Anaunia non esistessero lingue,culture e tradizioni religiose. li «luogo sacro»dovesuccessivamente si costrul lo splendidomonastero di San Romedio neè la prova. Il primo problema che si poneal missionario è come vivere e come entrare in relazione con le persone del posto. Stiledi vitae inculturazione, nella quale ècompresa la conoscenza della lingua sono le due sfide primariea cui si è chiamati a far fronte. In una mia recente lettura,sono rimasto impressionatoda un paragrafodove si riferiva delle scelte di Giustino De Jacobis,santo missionario dell'Abissinia del secolo xrx. «De Jacobis abbandonòdefinitivamente il proprio paese e la propria cultura... Liberatosi cosl da ogni legame straniero e ogni senso di superiorità, condiviseogni cosa con il suo popo- , lo, secondo le locali condizionidi vita... : Acasa dormiva su un pagliericcio e, · : nei frequenti viaggi,su una pelledi : vacca.Anche nei percorsi più lunghi : camminava scalzo,passando la notte : in una baracca o in una caverna. La cosa più importante, tuttavia, fu che DeJacobisnon tentò mai di introdurre la liturgia latina,ma adattò il ge'etze i riti etiopici» (Storia del cristianesimo in Africa, pag.243-244). Ho avuto la fortuna di conoscere un prete fidei donum bellunese, tuttora in servizio,che si è awicinato molto aquesto stile«deJacobis». L'impatto che questa scelta suscita in tutti èmolto forte e stimola in chi lo awicina il desideriodi vivere con integralità il vangelo. Inculturazionee durata Il passaggio dal greco al latino e alla lingua localedeve esserecostato non pocoai tre missionari martiri.Da sottolineare, inoltre,che tutta la loro awentura cristiana emissionaria fu vissuta ìn gruppo,cosa che senza dubbio li aiutò, prima di tutto, acrescere nella fede,poi,a svolgere il compito loroaffidatoe, infine, ad affrontare la suprema testimonianza del martirio. Il processod'inculturazione è stato Alessandro (da sinistra), Sisinio e Martirio, evangelizzatori e martiri della Val di Non. descritto dai vescovi africani in questi termini:«L'inculturazioneè Dio che scende ed entra nella vita, nei comportamenti morali e nella cultura degli uomini per liberarli dal peccatoe introdurli nella sua vita e santità» (ottobre 2003). Prima di partire per l'America Lath na ci avevano detto che occorreva rinascere e darsi dei prolungati tempi di attesa.Ma rinascere in un contesto tunisino o ciadiano è indubbiamente un altro paio di maniche! I tempi sono diversi e le difficoltà molto più grandi. C'è da domandarsi see come l'esercizio adtempus del compito missionarioche caratterizza la scelta fideidonum possa essere adeguato a questa realtà. Un periodo di missione della durata di 1O anni che sembra garantito a tutti coloro che lo deside- • rano è sufficiente? Con mia sorpresa ho potutoconstatareche nellecircostanze attuali succede spesso che i preti fidei donum abbiano maggiorestabilità degli stessi membrr delle congregazioni missionarie.Ma questo non aiuta molto a individuare prospettive per il futuro.Anzi, se si tiene conto che il missionario fidei donum è svincolato da tante necessità interne di una congregazionee che la sua scelta è fondata, oltre che su un «mandato», su una disponibilità vocazionale aperta,forse si puòarrivarea intravedere una soluzione. Tra i fidei donum ci sono persone che maturanose stesse e le lorosceltedi vita in una progressiva identificazione con «un popolodi poveri» a cui sono inviati. È un processo, lento, ma inarrestabile,chedipende da avvenimenti e personeda cui si ècoinvolti. Mi domando: perchéstoppare una storia personale e collettiva che acquista un sempre più profondo significato? Benché lontana, la vita di tali persone si carica di senso e diventa un segno anche per la chiesa che li ha inviati, purchéquesta relazione venga coltivata.In tali casi si dovrebbe tener conto dell'impulsovocazionaledi queste persone, nella certezza che questoè utile all'una e all'altra chiesa. Vivere tra due appartenenze ecclesiali Se la scelta molto prolungata o definitiva ha valore di segno per le due chiese, il rientro nella chiesa di origine fa parte della particolare dinamica della vocazione fidei donum. Amio parere, è proprio il rientro che viene disatteso, sia nella riflessione che nelle scelte di collocazionedei preti in questione. È innegabile che la scelta di partire, per essereecclesiale,deveessere convalidata dal mandato;ma questo non puòessere considerato come la ragione che la spiega e la motiva. ---------------------------------------------------------------------------------------------- 12 ■ MC GENNAIO 2006

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