Missioni Consolata - Dicembre 2005

L a signora colombiana emigrata in Italia, insieme alla quale abbiamo condiviso la traversata dell'oceano, ci aveva guardati stupita e incredula dopo aver saputo la nostra destinazione: «In Caqueta?». Per lei, cbe conosce bene quelle terre, avrebbe fatto meno effetto un soggiorno a Baghdad. Florencia, Caqueta, la porta dell' Amazzonia. Fare turismo da queste parti è facile, soprattutto per quanto riguarda la preparazione deJ bagaglio; nella valigia serve mettere solo una cosa: l'incoscienza. Qui uno stranie~;o passa inosservato come un marziano a Firenze, fare una foto ci mette a disagio tanto quanto passeggiare nudi per le vie del centro di una qualsiasi delle nostre città; tutti ti guardano e si chiedono: «Perché?». La stazione di Florencia si anima di buon'ora; ogni partenza è una storia e ogni viaggiatore è un attore: mille romanzi tutti diversi. Avendo tempo, ci si può fermare, osservare mondi lontanissimi in ogni persona; ma bisogna partire e recitare anche noi la nostra storia. SGUARDO DAL FINESTRINO La scelta del mezzo su cui viaggiare offre rre opzioni: la chiva, tradizionale autobus coloratissimo, privo di finestrini e porte, dove si può caricare qualsiasi bagaglio personale e dove può capitare di avere come vicino di viaggio un maiale o una pecora; la jeep, che però è molto scomoda se ti capitano i posti laterali; il piccolo pulmino, il mezzo che abbiamo scelto noi. L'eccitazione della paneoza pare coinvolgere tutti, sembra una gita. Senza rendersene conto, si diventa parte di un gruppo e la solidarietà fra gli occupanti del veicolo si avverte a pelle, senza bisogno di parole. In queste zone, il viaggio è sempr~ molto per.icol?so: è facile non arnvare a destmaztOne. Sono stato fortunato, il passeggero che mi è toccato vicino non è un maiale, né una capra: è un giovane A sinistro, Coquet6: festa di colori. A destro, lo chìva: il più popolare e pittoresco mezzo di trasporto in varie zone dello Colombia. costetio (abitante della costa; termi - ne usato abitualmente per indicare gli afro-colombiani) dalla pelle scura e dal fisico possente. In compenso viaggio con un gallo da combattimento chiuso in una scatola di cartone sotto al sedere! n primo posto di blocco d aspetta subito fuori l'abitato di fronte a una grande caserma. Qui i militari sono più rilassati, rispetto a quelli incontrati nel resto del viaggio: avere una caserma all.e spalle, con tanti commilitoni_pronti a contrastare eventuali assalti della guerriglia, penso dia sicurezza e, di conseguenza, renda più sereni. Controllo dei documenti e perquisizione, infatti, sono veloci e non infastidiscono più di tanto. Ognuno riprende il proprio posto e, senza alcun commento, si riparte verso sud. Qui, non è il mezzo di trasporto che ti pe1mette di arrivare: è la strada, la cui terra rossa cambia ogni giorno, vive, si muove: iJ tuo arrivo dipende dal suo wnore. Oggi che la strada è buona, si guida sul fango, in controsterzo, tanto cbe non posso fare a meno di dire al conducente: «Usted maneja mejor que Montoya!». Un a leggera smorfi.a, a significare «Si fa quel che si può», è la risposta. Le condizioni della carreggiata sono davvero pessime, ma mi a icono che oggi siamo fortunati, perché la pioggia, arrivata durante la notte, ci ba risparmiato la polvere. Fisso il cruscotto deJ veicolo: balla che pare staccarsi da un momento all'altro; guardo le mani dell'aurista girare vorticosamente a sinistra il volante, mentre la logica lo vorrebbe nel senso opposto, ma cosl si deve fare per restare sul tracciato. .Mi viene da fare quattro conti e concludo che i darmi al veicolo saranno sicuramente maggiori di quanto incassato dai viaggiatori trasportati. Scoprirò in seguito che in Colombia si aggiusta tutto con poco o niente e che il milione di chilometri per una autovettura non è cosa impossibile, né rara. li percorso è abbastanza omogeneo, si viaggia in un continuo saliscendi, fra verdissime colline disboscate per far posto al pascolo, le mucche però sono molto magre e ce ne vogliono due per fame una deJle nostre. Ogni tanto si incontra qualche gaucho, il cavallo e il cavaliere sono una cosasola, nébestia, né uomo. Attraversiamo qualche villaggio. Le case sono di legno e qualche mattone; le grondaie dei tetti in lamiera hanno legato all'estremità un reci - piente e un tubo di gommaporta acqua da qui a un serbatoio più grande. Non mancano piccoli negozi e bar per la sosta, la pipì e una cerveza. Incrociamo un grande autocarro: la motrice è molto vecchia, America anni '50, sono sicuro che non ha servosterzo... Lo guida un ragazzino: qui si cresce in fretta. Più avanti, dopo molta strada e tanto niente, suJ ciglio, un vecchio vestito di bianco, sombrero sulla testa, fa segno all'autista di fermarsi. Insieme a lui sta una minuta figura contorta; è una piccola vecchia veMC l dicembre 2005 pagina 19

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