Missioni Consolata - Dicembre 2021

52 dicembre 2021 MC guadagnano niente o sottoccu- pati che almeno 500 euro al mese li prendono?». E ponen- doci sempre di fronte al di- lemma della sopravvivenza, alla fine ottengono non solo il con- senso dei cittadini, ma anche i loro ringraziamenti. Secondo i calcoli dell’Organiz- zazione mondiale del lavoro (Oil), i lavoratori «vulnerabili», ossia precari, malpagati e in si- tuazioni a rischio , nel mondo sono quasi un miliardo e mezzo, il 42% di tutti gli occupati. La metà di loro sono definiti working poors , lavoratori poveri, perché percepiscono compensi al di sotto dei tre dollari al giorno, la soglia limite della po- vertà. LAVORATORI, MA POVERI La novità è che ora i working poors abitano anche fra noi. I loro tratti distintivi sono paghe basse, discontinuità lavorativa, scarse ore di lavoro. A seconda che si prenda in considerazione un solo criterio o la combina- zione di più elementi, si otten- gono risultati diversi sul numero dei working poors di casa no- stra. Prendendo a riferimento la sola paga oraria, l’Istat preferi- sce parlare di sperequazione re- tributiva piuttosto che di po- vertà. Posta la mediana nazio- nale a 11,21 euro l’ora, l’Istat defi- nisce a bassa paga chiunque ri- ceva meno di 7,47 euro l’ora , che corrispondono a due terzi della media nazionale. Il Cnel stima che i lavoratori a bassa paga siano oltre tre milioni, il 17,9% di tutti i lavoratori dipen- denti, principalmente lavoratori domestici, dell’agricoltura, delle costruzioni. Ma anche della pic- cola industria considerato che in settori come l’abbigliamento si applicano contratti collettivi di comodo che, per le categorie più basse, prevedono salari orari al di sotto dei 7 euro. Un caso è rappresentato dal contratto 2015-2018 firmato fra Fedimprese e Snapel per le aziende façon (operanti per conto terzi). Un settore a preva- lente presenza femminile che conferma come l’ingiustizia re- del Jobs study , un rapporto sullo stato dell’occupazione nei paesi industrializzati. Fin dalle prime righe non faceva mistero della gravità del problema: «La disoccupazione è il fenomeno del nostro tempo che mette più paura. Ci sono 35 milioni di di- soccupati nei paesi aderenti all’Ocse, mentre altri 15 hanno smesso di cercare lavoro op- pure hanno accettato, contro la loro volontà, un lavoro part time. Almeno un terzo dei giovani è senza lavoro». Ma lungi dal vo- ler rimettere in discussione la globalizzazione, la ricetta del- l’Ocse si chiamava riforma del lavoro . Il ragionamento era semplice. I paesi di nuova indu- strializzazione attirano le im- prese perché offrono costi di produzione più bassi. Dunque, se vuole fare tornare le imprese in casa propria, il Nord deve creare condizioni altrettanto al- lettanti. È la legge della compe- titività, bellezza. Ed ecco i sug- gerimenti: ridurre le tasse sui profitti, ridurre il peso per oneri sociali, rendere il lavoro più fles- sibile, ossia più disponibile ad adattarsi alle esigenze della produzione. LAVORATORI VULNERABILI Ancora oggi tutti i governi, siano essi di destra o di sinistra, usano queste misure come stella po- lare. E per farle digerire ai citta- dini, la mettono sempre sul piano del meno peggio: «Prefe- rite essere disoccupati che non concorrenza all’ultimo sangue giocata essenzialmente sulla di- minuzione dei prezzi. Ma ogni volta che questi vengono ritoc- cati, bisogna trovare il modo di ridurre anche i costi di produ- zione, altrimenti i profitti sof- frono. Ecco perché, nell’epoca della globalizzazione, il lavoro è finito sotto assedio. Finché le economie erano organizzate su base nazionale, la via classica di riduzione del costo del lavoro era l’automazione, ma, in un si- stema totalmente aperto, le im- prese hanno scoperto anche la via della delocalizzazione , il tra- sferimento delle attività produt- tive in paesi dove la povertà morde così tanto da rendere i la- voratori disponibili a svolgere le stesse mansioni dei loro colle- ghi europei o nordamericani per salari anche trenta volte più bassi. IL LAVORO SECONDO L’OCSE Nessuno sa quanti posti di la- voro siano stati persi nei paesi di prima industrializzazione, a causa dei trasferimenti produt- tivi nei paesi a bassi salari. Ma è un fatto che molti settori conti- nuano a perdere addetti. I re- centi casi di Gkn e Whirpool in Italia lo testimoniano. Già nel 1994, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo eco- nomico (Ocse), il centro studi dei paesi industrializzati incari- cato di elaborare strategie eco- nomiche, suonò il campanello d’allarme con la pubblicazione © FreePhotos - Pixabay

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