Missioni Consolata - Dicembre 2021

mone del mondo. Tra un pisolino e l’altro, Juan, un agronomo pe- ruviano incontrato per caso, mi ha spiegato che sono le diato- mee (microalghe unicellulari, ndr ) a produrre gran parte del- l’ossigeno mondiale, attraverso un ciclo che dai deserti africani raggiunge e coinvolge anche l’Amazzonia. Di fatto, la foresta amazzonica utilizza quasi tutto l’ossigeno che produce per ali- mentare i tessuti dei suoi alberi e tutti i batteri e funghi che degra- dano gli scarti degli alberi caduti al suolo. Questo ricco strato di materia organica assicura alle piante la loro stessa sopravvi- venza. L’esuberanza della flora amazzonica nasconde la sua fra- gilità e la poca fertilità del suo suolo, fatta di strati di sabbia e argilla. Se si taglia un albero e se Una natura esuberante e perico- losa e pure piena di leggende: le trasformazioni notturne del del- fino rosa (o boto vermelho ), le ra- dici della marapuama (Ptycho- petalum olacoides) , con cui oggi viene preparato il «viagra dell’A- mazzonia» (anche se dagli indi- geni è utilizzato per curare le pa- ralisi), le «formiche proiettile», che entrano velocemente a fare parte della quotidianità e del lin- guaggio del viaggiatore. FORESTA ESUBERANTE E FRAGILE Prima ancora di mettere piede in Brasile, sull’aereo, scopro con stupore e una vaga tristezza per la perdita di quelle poche no- zioni che credevo di aver impa- rato a scuola, che la foresta amazzonica non è il grande pol- ne tolgono le radici, lì, non cre- sce più nulla. La foresta si tra- sforma in un deserto. Gli studi di archeobotanica dimo- strano come l’Amazzonia sia una sorta di «giardino addomesti- cato» dall’uomo. Già prima del 1492, milioni di indigeni abita- vano quelle foreste considerate vergini. L’agricoltura preispanica preve- deva l’arricchimento continuo del suolo amazzonico infecondo, e la sua riutilizzazione, piuttosto che l’ampliamento delle arre col- tivabili tramite incendi controllati. Gli indigeni hanno saputo intera- gire con la foresta senza com- prometterne l’ecosistema come fanno le multinazionali agricole oggi. INCONTRO CON I RIBERINHOS Un’altra realtà che abbiamo in- contrato è quella delle comunità fluviali, i cosiddetti riberinhos , che vivono lungo le sponde del fiume più lungo del mondo, il Rio Amazonas. Un flusso d’acqua, fango e detriti imponente, che espandendosi «nella sua gran- diosità, raggiunge il fondo dell’o- rizzonte, tentando, invano, di al- largare anche il cielo». Gli abitanti dei grossi centri ur- bani considerano i riberinhos persone felicemente autosuffi- cienti, senza però conoscere le loro difficoltà. Queste comunità sono isolate, spesso non hanno la possibilità di accedere ai ser- vizi di base, anche se hanno sempre pesce a disposizione, fa- ticano a reperire acqua potabile. Inoltre devono lottare contro le invasioni dei taglialegna illegali nei loro territori. Durante la navigazione, dall’alto del nostro barcone vedevamo dei bambini dalla terraferma sal- tare sulle piroghe per dirigersi verso la nostra imbarcazione, sfi- dando le onde create dal nostro scafo. Si avvicinavano per recu- perare i sacchetti chiusi, riempiti di vestiti e cibo, che i nostri com- pagni di viaggio lanciavano loro. La povertà di queste comunità spesso spinge le ragazzine a prostituirsi a marinai, commer- cianti o proprietari delle imbarca- zioni. A MC 17 dicembre 2021 MC Biodiversità | Foresta | Popoli indigeni | Fiumi L a comunità indigena Parque das Tribos risiede nel quartiere Tarumã di Manaus ed è formata da più di 400 famiglie di 38 etnie diverse. La migrazione indigena verso l’area ur- bana è cominciata negli anni Settanta con l’inaugurazione della zona franca e negli anni a venire non si è più fermata. Sulle strade del quartiere, l’asfalto è stato posato per la prima volta nel 2018, assieme all’impianto d’illuminazione pubblica a led e ai servizi di acqua corrente. Nel Parque das Tribos si lotta per la conservazione delle tradi- zioni native, ma anche per l’accesso all’educazione superiore e universitaria delle nuove generazioni. In questo contesto multi- lingue, Claudia Martins Tomas, di etnia Baré, ha deciso di aprire una scuola indigena. Dopo essersi laureata in Pedagogia e Inter- culturalità e aver ricevuto alcuni finanziamenti, Claudia ha rea- lizzato un progetto di conservazione e trasmissione della lingua autoctona. I bambini e i ragazzi che frequentano la sua scuola sono delle etnie più disparate: Ticuna, Desana, Tukano, Mura, Kokama, e altre ancora. Per insegnare, utilizza la sua lingua ma- terna, il Nheengatu o Lingua Geral Amazonica . Una lingua franca utilizzata nel processo di colonizzazione che i gesuiti standardiz- zarono, partendo dalla lingua Tupinambà, e adattarono alla grammatica portoghese. Era l’idioma più parlato sulla costa atlantica; fu imposto come mezzo di comunicazione principale e insegnato agli indigeni che fungevano da forza lavoro nelle mis- sioni. Claudia non parla la sua lingua originaria, il baré, perché non esi- ste più. Durante le sue lezioni, la donna narra leggende, insegna i segreti dell’artigianato e delle decorazioni. Lo fa principalmente in Nheengatu, ma anche nelle altre lingue indigene, per rinforzarle. La scuola è un container e nella stagione secca si scalda come un forno. Claudia vende collane di semi e vestiti pitturati con colori naturali e motivi indigeni per finanziare la scuola. A.V. Manaus, Tarumã Il parco delle tribù

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