Missioni Consolata - Giugno 2021

ESSERE NERO IN LIBIA La tappa successiva è il campo per sfollati di Fellah, alle porte della capitale. Prima della guerra questo era il cantiere di una cli- nica privata. Oggi sono rimasti solo una quindicina di container utilizzati per ospitare i tawergha scappati dalla loro città. L’Onu presta una modestissima assi- stenza a circa mille sfollati della città fantasma che non hanno potuto trovare una soluzione più dignitosa, magari all’estero. La «sicurezza» è gestita dai thuwar. Non è un’impresa semplice con- vincere Ali e la sua truppa a ri- manere al di fuori della recin- zione. Vogliono assistere ai col- loqui con gli sfollati. «Quei negri - sbotta Mohamed - raccontano un sacco di balle. Sono delle serpi, negano di avere violentato le figlie di Misurata». Ma alla fine desistono e optano per un ripo- sino all’ombra di una palma. Gli anziani tawergha sono tutti riuniti sotto un tendone. «Non abbiamo nulla da perdere, ci am- mazzassero pure quei cani. Que- sta non è più vita per noi», esor- disce Houssein, 73 anni, maestro di scuola elementare in pen- sione, che durante la guerra ha perso sette dei suoi undici figli. «Essere nero in Libia oggi vuol dire essere un uomo morto. È dante. Ciccio afferra una pala dal cassone del pick up e comincia a scavare davanti l’uscio della vil- letta vandalizzata. Secondo una recente leggenda, durante la guerra, al momento della fuga dalla città, i tawergha avrebbero scavato delle buche all’ingresso di casa seppellendo oggetti pre- ziosi per non farli finire nelle mani dei thuwar. E, vuole sem- pre la leggenda, i tawergha ap- profitterebbero delle tenebre per recuperare i loro tesori. Ciccio raggiunge il gruppo a mani vuote e tutto sporco di terra. Il goffo miliziano emana una puzza di sudore acido che fa subito scattare le battute impie- tose dei suoi compagni. Ripone la pala nel cassone e sbuffa so- noramente. È tempo di ripartire. Per i 250 chilometri che dividono Tawergha da Tripoli, disseminati di posti di blocco delle milizie, quasi non viene proferita parola. La sete e la fame del Ramadan si fanno sentire. vero, Tawergha è rimasta fedele a Gheddafi fino alla fine. Ma che potevamo fare?». «Siamo cittadini libici - interviene Omar, 68 anni, che a Tawergha aveva un piccolo ristorante - e abbiamo dei diritti che vengono calpestati di continuo. Gli stupri delle donne ci sono stati da una parte e dall’altra. E poi, dato che siamo neri, ci associano ai mer- cenari africani assoldati da Gheddafi». Una donna spinge la sedia a ro- telle di Samir, 27 anni. L’uomo è in queste condizioni da quasi un anno. Fuggiva da Tawergha in- sieme al fratello maggiore Yoo- suf. I due sono incappati in una qatiba misuratina. I miliziani hanno pestato a sangue i due fratelli fino a spaccare loro le ossa di braccia e gambe. L’ul- timo colpo in testa, sferrato con una mazza di legno, è stato le- tale per Yoosuf. Samir ha visto un solo dottore dopo settimane dall’aggressione, troppo tardi per ricomporre le fratture ripor- tate. Il tempo a disposizione al campo di Fellah è terminato. È Ciccio a comunicarlo, indicando col dito l’orologio al polso. Una volta var- cata l’uscita, senza dire nulla, Ciccio corre indietro verso gli an- ziani tawergha. Visto da lontano, A MC 13 giugno 2021 MC

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