Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2021

45 gennaio-febbraio 2021 Cina e Xinjiang mini politici e di diritti umani esponendo come figura di punta Rebiya Kadeer, appoggiando e fi- nanziando movimenti estremamente politicizzati e anticinesi come la Uyghur American Association e la Uyghur Human Rights Project . Pechino, dal canto suo, ha sempre cercato di contrastare queste attività extraterritoriali asso- ciandole al pericolo, più o meno reale, di un ter- rorismo di matrice islamica. Sin dal 1990 le autorità cinesi denunciano nume- rosi incidenti collegandoli al separatismo uiguro. Tra questi diverse bombe esplose su autobus di linea, assalti a stazioni di polizia, a stazioni fer- roviarie, a centri commerciali, scontri organizzati tra manifestanti e forze dell’ordine. La maggior parte di questi atti violenti sono attribuiti all’ East Turkestan Islamic Movement (Etim), un gruppo separatista di ispirazione jihadista formatosi nel 1988, ma di cui non è mai stata chiarita la genesi e la storia e che nel 2004 fu iscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche dalle Nazioni unite. Il 6 novembre 2020, quando ormai era chiara la vittoria presidenziale di Biden, l’ammi- nistrazione Trump, in un ultimo rigurgito antici- nese, ha deciso di depennare l’Etim dalla lista nazionale di movimenti del terrore con la moti- vazione che l’organizzazione non dava più segni di attività da almeno dieci anni. La mossa è stata naturalmente deplorata dalla Cina la quale meno di ventiquattr’ore dopo, attraverso il Quotidiano del Popolo , organo del Pcc, ha salutato la dichia- razione di Trump «Ho vinto io queste elezioni e anche di molto» con l’emoticon ridens accompa- gnata da un esplicito «HaHa!». Pochi giorni dopo, al meeting dello Shanghai Cooperation Organization (Sco), ha chiesto agli stati membri (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan, India, Pakistan e Russia) un livello di cooperazione e solidarietà più forte per opporsi alle interferenze provenienti dall’esterno. Case uigure contro case han Nell’ottica di Pechino, il modo migliore per in- durre gli Uiguri ad accettare la presenza del go- verno centrale e abbandonare le richieste di maggiore autonomia (o indipendenza) era quella dello sviluppo economico. Nel 1999 venne così inaugurato il Great Western Development , un programma di iniziative sociali, culturali ed eco- nomiche che avrebbe dovuto dare un forte im- pulso di modernizzazione all’intera provincia dello Xinjiang. Iniziarono ad essere costruite nuove infrastrutture, venne potenziata la linea Stati Uniti e Turchia appoggiano le organizzazioni uigure. ferroviaria, furono realizzate autostrade e nuovi aeroporti internazionali mentre attorno alle città sorsero fabbriche e industrie. Il governo investì in Xinjiang, nei primi dieci anni del XXI secolo, più che in qualunque altra provincia cinese. Inutil- mente. Gli Uiguri, così come avevano fatto i Ti- betani, accolsero il Great Western Development come un progetto per accelerare la distruzione della loro cultura. Le vie di comunicazione? Un modo per spostare più velocemente i reparti dell’esercito per soffo- care ogni tentativo di protesta secondo gli Uiguri. E in parte era vero. Le fabbriche? Un modo per arricchire gli Han e gli Hui, visto che la gestione era affidata a loro e si preferiva assoldare manodopera che non fosse uigura. E in gran parte era vero. Il potenziamento dell’istruzione scolastica? Un modo per costringere gli Uiguri a imparare il mandarino per svilire e dimenticare la propria lingua e le proprie radici. Parzialmente vero. A Kashgar sorse un movimento che ebbe riso- nanza anche all’estero per arrestare la demoli- zione di edifici tradizionali abitati dagli Uiguri. Erano case singole in legno per lo più fatiscenti, fredde d’inverno e torride d’estate, senza rete idrica e fognaria. In cambio l’amministrazione cittadina concedeva a ogni famiglia uigura un appartamento nuovo dotato di tutti i confort moderni: corrente elettrica, bagno in casa, riscal- damento, ampie finestre, ascensori. Dal punto di vista cinese era un’offerta vantaggiosa che non si poteva rifiutare. Ma le case che venivano di- strutte erano le case in cui gli Uiguri amavano abitare perché consentivano loro di instaurare un rapporto sociale porta a porta; in quelle case, vecchie, a volte pericolanti, con spifferi da tutte le parti si erano succedute generazioni di fami- glie. In questa lotta, in questo modo di vedere il futuro e la socializzazione c’era tutto il divario e l’incomprensione tra le due culture: gli Han mo- dellavano il futuro dello Xinjiang (e, quindi, anche degli Uiguri) secondo il loro modo di ve- dere, sulla base delle loro esigenze e di quelle nazionali. Logico, allora, che non ci fosse alcun incontro tra le diverse comunità. Chen Quanguo, dal Tibet allo Xinjiang Un ulteriore drastico cambio della politica cinese nello Xinjiang avvenne tra il 2013 e il 2016. La prima data corrisponde all’ascesa di Xi Jinping alla presidenza della Repubblica popolare. Egli da allora avocò a sé sempre più poteri. La se- conda data vide la nomina di Chen Quanguo a segretario del Partito comunista locale. Chen Quanguo si era fatto le ossa nel Tibet dove aveva rafforzato il sistema di sicurezza e di sorveglianza aumentando la presenza della polizia e dell’eser- cito, ma introducendo anche il sistema della sor- veglianza di quartiere: semplici cittadini, possibilmente dello stesso gruppo etnico che do- veva essere controllato, erano investiti del ruolo “

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