Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2021

A MC Qui: la copertina del libro di Marco Canta e Alessandro Ciquera, La speranza ha il vestito azzurro , Effatà editrice, Cantalupa (To), dicembre 2020, pp. 112, 12 €. Sotto: azione nonviolenta nelle colline a Sud di Hebron. * * Nel libro parli molto dei profughi siriani in Libano. «Quello che mi ha colpito della vita dei profughi è la loro solitudine. Se vivi in un villaggio in Palestina, pur nella violenza, sei a casa tua, hai la tua casetta, le tue pecore, la tua gente. Invece il profugo ha la sensazione di essere dimenticato da tutti, che la sua vita non vale niente, e che, se oggi muore, saranno in pochi ad accorgersene, pochi o nessuno potrà ve- nire al suo funerale, perché ha un amico in Turchia, un altro è morto, un altro fa il servizio militare, un altro è scomparso in prigione, un altro è in Europa, un altro sta provando a prendere una barca per at- traversare il Mediterraneo. Chi sei tu senza le tue relazioni? Tanti ci dicevano: “Non abbiamo nessun altro, a parte Dio e voi”». Marco, i capitoli che raccontano gli incontri con rifugiati avvenuti a Torino e dintorni, sono tuoi? «Sì. Il primo incontro con i rifugiati per me è stato nel 2009: sono entrato quasi per caso nell’ex clinica San Paolo di corso Peschiera a Torino che era occu- pata da 400 rifugiati, provenienti soprattutto dal Corno d’Africa. Quell’incontro ha cambiato la mia vita. Prima non sapevo nemmeno cosa significasse fuggire da contesti di guerra. La proprietà dell’immobile, a un certo punto, ne aveva chiesto la restituzione, e prefettura e que- stura avevano deciso per lo sgombero. Da lì è nato “Non solo asilo”, un coordinamento di associa- zioni, che ha avviato un dialogo, e che ha ottenuto sei mesi di tempo per trovare opportunità per le persone. In poche settimane abbiamo creato una rete di comuni e associazioni che ci ha aiutati ad avviare progetti per 200 persone. Lavoravamo sul modello dell’accoglienza diffusa, e non sulle grandi strutture. La rete dello Sprar si è allargata così in buona parte del Piemonte, e ad Avigliana si è realiz- zato il primo Cas diffuso (centro accoglienza straor- dinaria), che poi ha fatto scuola in Italia». Perché hai voluto raccontare questi tuoi incontri? «Nel libro raccontiamo storie di persone che hanno una forza, un’energia, una capacità di resilienza tale che, se fossimo in grado di accoglierle e di ren- derle conosciute tra i giovani, ne avremmo giova- mento tutti. Sono storie potenti. Se pensiamo alla crisi della nostra società, ai ra- gazzi disillusi che non lavorano e non studiano, le storie di queste persone, che sono riuscite a supe- rare delle tragedie enormi ricostruendo il loro fu- turo, danno speranza a tutti. Una delle storie raccontate nel libro è quella di Mohammed, arrivato in Italia come minore non ac- compagnato. Oggi è un giovane di 22 anni, come mio figlio più grande. Se penso all’influsso positivo che lui ha avuto sui miei figli, mi è chiaro che quando riesci a superare la barriera della non cono- scenza, poi accadono cose belle». E tu Alessandro? «Ho scritto dei miei incontri con queste persone fe- rite dalla vita, ma resilienti, perché quando trovi una perla preziosa, non puoi tenerla in tasca. Devi mostrarla. Non sono storie solo nostre. Abbiamo iniziato a scriverle in un tempo difficile, quando sono stati fatti i decreti sicurezza e parlare di questi temi era davvero dura. Volevamo lanciare queste storie come un salvagente». Luca Lorusso " «Ecco, in questo tenere insieme la vita normale, semplice, con l’op- pressione, io ho sempre visto qualcosa che parla del Vangelo».

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