Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2021

* PALESTINA Vite che non si arrendono La prossimità alle persone che vivono in zone di conflitto, o ci hanno vissuto, ha due facce: quella della vicinanza lì (in Palestina, Siria, Libano, Iraq); e quella dell’accoglienza qui, in Italia. Due amici ce le raccontano attraverso 24 storie di incontri. In Cisgiordania come a Torino, ciò che emerge è la speranza di chi resiste, la resilienza dell’umanità. Alessandro, nel libro racconti di persone che non si arrendono, e che, ad esempio ad At-Tuwani, in Cisgiordania, resistono alle ingiustizie in modo nonviolento. «I palestinesi di At-Tuwani e dei villaggi di quell’a- rea, da decenni vivono aggressioni sistematiche. Loro vorrebbero solo vivere la loro vita, andare ai pascoli, coltivare, fare pozzi, costruire stalle, ma tutti i giorni sono umiliati, minacciati, ostacolati, picchiati, a volte uccisi o arrestati. Quello che li aiuta è il senso del resistere insieme: non c’è nessuno lì che si salva da solo. Quando qualcuno è arrestato, subito fanno una colletta per gli avvocati, manifestano, chiamano giornalisti. Quella gente desidera solo rimanere sulla propria terra. Il fatto che dopo decine di anni di soprusi non se ne siano andati altrove, è un messaggio bello per tutti. I giovani di lì, sanno bene cosa c’è fuori del loro vil- laggio, però sono consapevoli della loro identità: sono nati lì, le loro famiglie abitano quelle terre da generazioni, e anche loro vi appartengono. Ecco, in questo tenere insieme la vita normale, semplice, i piccoli gesti, la scuola, il seminare, con l’oppressione, io ci ho sempre visto qualcosa che parla del Vangelo. Lì ho imparato cosa può voler dire un’esistenza senza violenza». Dove ti ha portato Operazione Colomba negli anni? «Io sono legato a Operazione Colomba da quando mi sono diplomato. Ho iniziato in Palestina, dove sono stato due anni, poi sono stato in Iraq più di una volta, in Libano per tre anni, in Siria, in Alba- nia. Sempre cercando la condivisione con le per- sone che vivono situazioni di sofferenza e di con- flitto. Mai con l’idea di essere “l’occidentale che va lì a salvare i poveri”, ma con il desiderio di cammi- nare insieme, di partecipare nel mio piccolo a una lotta che magari va vanti da decenni. In Iraq la gente rischia di morire anche solo facendo gesti semplici, come andare al mercato, a messa, esprimere un pensiero. In Siria ci sono la guerra, l’obbligo del servizio militare, il rischio del carcere o di sparire, le fosse comuni, i villaggi bruciati. Ecco, in Siria ho trovato un dolore grande, e se c’è qual- cosa che si può imparare da queste persone è il de- siderio di non fermarsi, di rimanere in piedi: anche se vivi sotto una tenda, metti una stufetta, un fiore, un quadretto, provi a far fare i compiti ai bambini. E continui ad avere fede, a vivere la fede nelle ferite che la vita ti ha fatto incontrare». F atima vive ad Aleppo, una città distrutta dalla guerra. Ha tre bambini che mostrano i segni della malnutrizione. Accudisce una sorella di- sabile. Suo marito è morto per un’esplosione. Lei guadagna qualcosa vendendo oggetti che recupera in giro, tra le macerie. A volte trova bombe ine- splose che smonta per venderne i pezzi. Disfa ordi- gni di morte per ricavarne cibo e vita. Aisha è una giovane somala sbarcata a Lampedusa tempo fa. Dopo anni dalla fuga, sente ancora ogni tanto dentro sé i morsi delle violenze viste e subite. Le loro sono storie difficili, e Alessandro Ciquera e Marco Canta ce le raccontano trasmettendoci la speranza e la forza di cui sono pervase. Oltre a Fa- tima e ad Aisha, ci presentano Arsema, ragazza etiope in cerca di casa in Italia; i figli di Hafez che piangono mentre il padre viene portato via dalla polizia militare israeliana; Ola e il suo fratellino, si- riani malati di talassemia, profughi in Libano; e poi Mohammed, Karim, Abu Zahra, e altri. Gli autori de La speranza ha il vestito azzurro , par- lano di resilienza, e ce la mostrano nel racconto dei gesti quotidiani di uomini, donne e bambini. Come Fatima, che tramuta bombe in pane, morte in vita, tutti loro fanno i conti con il male, la soffe- renza, facendone il luogo della loro resistenza e, a volte, rinascita. Alessandro ha 32 anni e fa parte dell’Operazione Co- lomba. A 18 anni ha fatto il suo primo viaggio in un luogo di conflitto, a Kirkuk, in Iraq, per costruire un campetto da calcio per i bambini, e da allora non ha più smesso di viaggiare per incontrare e condividere. È stato in Palestina per due anni, in Siria, in Albania, nei campi profughi siriani in Libano per tre anni. In Italia ha lavorato in progetti educativi presso il carcere minorile di Torino, nella scolarizzazione di minori in condizioni socialmente critiche e nell’as- sistenza alle persone senza fissa dimora. Da ragazzo è stato animatore, in oratorio a Gruglia- sco (To), dei figli di Marco. Marco Canta ha 54 anni, si è formato nella Gioc (Gioventù operaia cristiana), è stato attivo nel Gruppo Abele, presidente della Cooperativa Orso che si occupa, tra le altre cose, di accoglienza di ri- fugiati, e attualmente è direttore e vicepresidente di Casa Oz, Onlus che offre accoglienza a bambini ma- lati e alle loro famiglie che soggiornano a Torino per il periodo delle cure. È portavoce del Forum del terzo settore del Piemonte. 24 gennaio-febbraio 2021 MC

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