Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2020

31 agosto-settembre 2020 MC contabili. In gergo la distribu- zione degli incassi fra filiali del gruppo è definita «cash poo- ling» e, nel caso delle imprese del web, è gigantesca. Medio- banca stima che, in Italia, rimane solo il 14% della liquidità totale realizzata, l’altro 86% finisce come cash pooling nei paesi a fiscalità agevolata. E non va certo meglio in Francia, dove solo le «Gafa», le quattro grandi multinazionali Usa (Google, Ap- ple, Facebook, Amazon), nel 2017 hanno avuto un giro d’af- fari di un miliardo e mezzo di euro, ma hanno versato al fisco solo 43 milioni. È così che, in Eu- ropa, si è cominciato a chiedere come fare per arginare questa mostruosa perdita. Tuttavia, stentando ad arrivare una soluzione condivisa, alcuni paesi hanno deciso di muoversi autonomamente con provvedi- menti fiscali propri. Fra questi Francia e Italia , con provvedi- menti che, accogliendo le indi- cazioni della Commissione eu- ropea, hanno introdotto una tassa del 3% sui ricavi generati da alcune attività digitali pro- dotte da imprese con un fattu- rato mondiale superiore ai 750 milioni di euro. Tutto sommato una misura piut- tosto modesta, ma sufficiente a innervosire Trump che, tac- ciando l’iniziativa francese e ita- liana come provvedimenti discri- minatori verso le imprese del web statunitensi, ha minacciato ritorsioni sui vini francesi e i pro- sciutti italiani se le misure non saranno ritirate. Ancora una volta si scrive protezionismo, ma si pronuncia arroganza. Francesco Gesualdi non compaiono per i trucchi contabili attuati dalle imprese. Lo dimostra il fatto che, per il 2018, Google ha dichiarato in- troiti in Irlanda pari a 38 miliardi di euro, pur disponendo solo di 3,6 milioni di utenti, in Italia solo per 106 milioni di euro, pur di- sponendo di 30 milioni di navi- gatori. Uno studio di Mediobanca ri- vela che, fra il 2014 e il 2018, le prime 10 imprese digitali del mondo hanno risparmiato 49 miliardi di dollari, a livello glo- bale, grazie al ricorso massiccio ai paesi a fiscalità agevolata. Lo studio ci dice anche che, in Ita- lia, le prime 25 multinazionali del web (non solo statunitensi, ma anche cinesi) hanno dichia- rato un fatturato 2,4 miliardi di euro, ma hanno versato al fisco solo 64 milioni, il 2,7% del fattu- rato. Il rapporto non indica quanto sarebbe dovuto essere il gettito dovuto, ma specifica che, a seguito di accordi con le autorità fiscali italiane, le im- prese del web hanno pagato sanzioni per 39 milioni nel 2018 e 73 milioni nel 2017. Ed è sem- pre del 2017 il patteggiamento di Google col fisco italiano che ha accettato di versare 306 mi- lioni di euro a sanatoria di man- cati pagamenti relativi al pe- riodo 2002-2015. L’ARROGANZA DI TRUMP Il rapporto di Mediobanca insi- ste anche sul fatto che, in una maniera o nell’altra, le imprese del web riescono a travasare gli incassi verso altre filiali estere facendoli passare come spese per servizi, commissioni su li- cenze o brevetti e altre fantasie mente estranea al fisco, come insegna il caso di Cambridge Analytica. Ad oggi la pubblicità rappre- senta la maggiore fonte di in- casso per molti operatori inter- net. Per Google rappresenta l’85% del suo giro d’affari: 116 miliardi di dollari su 136 miliardi nel 2018. Nel caso di Face- book, la pubblicità rappresenta addirittura il 98,6% degli introiti: 55 miliardi di dollari su 55,8 nel 2018. Dedotte le spese, Face- book nel 2018 ha ottenuto pro- fitti lordi per 25 miliardi di dol- lari su cui ha pagato solo 3 mi- liardi di tasse, un’aliquota me- dia del 12%. Idem per Google che, detratte le spese, ha avuto un profitto lordo di 35 miliardi di dollari su cui ha pagato solo 4 miliardi di tasse. Eppure negli Stati Uniti, l’imposta sui redditi di impresa è del 21%. Però, sia Facebook che Google hanno eletto domicilio fiscale nel De- laware, paradiso fiscale statu- nitense dove l’imposta sui red- diti da capitale è dell’8,7%. Inol- tre, approfittano della diversità fiscale fra stati, della loro man- canza di collaborazione e della virtualità di internet per convo- gliare gli incassi verso i paesi a più bassa fiscalità. Talvolta, tra- mite strategie talmente creative da essersi guadagnate appella- tivi fantasiosi come «doppio sandwich irlandese imbottito al- l’olandese», una metodica che permette di trasferire i profitti alle Bermuda passando per l’Ir- landa e l’Olanda . E se, alla fine, i paradisi fiscali qualche briciola la intascano, a rimetterci in ma- niera pesante sono i paesi in cui i profitti si realizzano, ma © Gerd Altmann - Pixabay Elusione fiscale | Multinazionali Usa | Social network R MC

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