Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2020

E la chiamano economia 30 agosto-settembre 2020 MC sferiti in Liechtenstein. E se giochetti del genere sono possi- bili a imprese commerciali vec- chio stile, ancora di più lo sono per imprese che gestiscono ser- vizi informatici. Un tipico servizio informatico è la creazione di piattaforme com- merciali, luoghi virtuali concepiti come punti di incontro fra im- prese che offrono beni e consu- matori ( ne abbiamo parlato su MC di luglio ). Alcuni esempi sono Amazon Marketplace, Ebay, Leboncoin, Alibaba, Apple Appstore. Altre piattaforme, in- vece, sono organizzate per per- mettere l’incontro fra chi offre un servizio e chi lo richiede. Al- cuni esempi sono Uber per il servizio taxi, Booking per le pre- notazioni alberghiere, Deliveroo per la consegna di pasti a domi- cilio. In cambio del servizio di vi- sibilità e connessione le piat- taforme pretendono delle com- missioni dai loro inserzionisti, magari il 15% sull’intero volume di transazioni che effettuano sulla piattaforma. ALGORITMI E PUBBLICITÀ Un’attività che si è sviluppata enormemente in internet è quella delle inserzioni pubblici- tarie che, a differenza della ven- dita di beni e servizi, non viag- giano solo su piattaforme dedi- cate, ma su ogni pagina web. Per esperienza, tutti sappiamo che, se consultiamo un qualsiasi sito on line, prima dobbiamo sorbirci un video pubblicitario. E lo stesso accade sia che si entri in una pagina Facebook, che si guardi un film o che si ascolti della musica. Per cui i veri re delle riscossioni pubblicitarie sono i gestori dei grandi motori di ricerca, come Google, o i ge- stori di social network come Fa- cebook, che oltretutto utilizzano sofisticati algoritmi per spiare i nostri interessi e propinarci la pubblicità su tutto ciò che ruota attorno ad essi: libri piuttosto che utensili, cibo piuttosto che viaggi. Non a caso la vendita di dati è diventata un’altra attività fiorente delle imprese del web, spesso condotta in maniera to- talmente occulta, e quindi total- bassi di tassazione dei profitti. È stato accertato che un meccani- smo del genere è stato utiliz- zato dal gruppo Kering, proprie- tario fra gli altri del marchio Gucci, che nel maggio 2019 ha patteggiato col fisco italiano il pagamento di oltre un miliardo di euro a sanatoria di ricavi non dichiarati per un valore di 14,5 miliardi di euro. Secondo gli in- vestigatori, il gruppo utilizzava la Svizzera come cerniera di in- termediazione fra Gucci, che produce in Italia, e i negozi del gruppo che vendono nei vari paesi europei. Verosimilmente la società svizzera acquistava fittiziamente beni sottocosto dalla società italiana e li rifattu- rava a prezzi gonfiati ai negozi europei per accrescere artificio- samente i profitti dichiarati in Svizzera, che nel caso specifico erano sottomessi a un regime fi- scale inferiore al 9%. E, a con- ferma del meccanismo occulto, le Fiamme gialle avevano accer- tato che la maggior parte delle funzioni di commercializzazione dei prodotti non avveniva in Svizzera, ma a Milano, dove ha sede l’unità locale di Gucci. Meccanismo riconosciuto da Kering che, a conclusione del patteggiamento, ha diffuso una nota in cui ammette «la sussi- stenza di una stabile organizza- zione in Italia nel periodo 2011- 2017», come sostenuto dalla Procura di Milano. L’UTILIZZO DEL MARCHIO Un altro metodo di elusione si basa sul trasferimento di prezzo tramite licenze d’uso. Si prenda come esempio Ikea. Nessun punto vendita può esporre l’in- segna se prima non ha stipulato un contratto di licenza con la so- cietà che risulta formalmente proprietaria del marchio. E an- nualmente tutti i punti vendita Ikea versano una parte dei loro ricavi alla società proprietaria del logo, anch’essa facente parte del gruppo, che però è domiciliata in Liechtenstein dove i redditi da capitale sono tassati al 12,5%. Più alto il com- penso pattuito per l’uso del marchio, più alti i profitti tra- per l’erario statunitense calco- lato in 12 miliardi di dollari per il solo 2012. LOTTA TRA SISTEMI FISCALI Secondo uno studio del Fondo monetario internazionale (Fmi) del 2015, ogni anno l’elusione fi- scale sottrae agli stati 650 mi- liardi di dollari. Un vero crimine contro l’umanità considerato che 200 di essi sono sottratti a paesi molto poveri che, per mancanza di soldi, non riescono a fornire neanche i banchi di scuola. Il punto è che le imprese sono riuscite a globalizzarsi, mentre le nazioni continuano a gestire i sistemi fiscali in ma- niera separata, ciascuna per conto proprio, a volte addirittura in concorrenza fra loro per at- trarre investimenti e capitali. Per cui abbiamo paesi come le Isole Cayman e un’altra decina di pa- radisi fiscali, senza alcun tipo di imposta sui profitti, fino agli Emi- rati Arabi con una tassazione del 55%, passando per l’Unghe- ria che applica un’imposta del 9%, l’Irlanda del 12,5%, gli Usa del 21%, l’Italia del 24%, la Ger- mania del 30-33%. In uno scenario tanto variegato, molte imprese sono tentate di mettere in atto strategie, formal- mente legali, di fatto fraudo- lente, per contabilizzare i loro profitti in paesi a bassa fiscalità. Una di queste si basa sulla crea- zione di società fantasma che fanno da cerniera fra imprese dello stesso gruppo. Tipico il caso di una multinazionale cal- zaturiera con stabilimenti pro- duttivi in Indonesia e negozi di vendita in Europa. La logica vor- rebbe che le scarpe fossero vendute direttamente dagli sta- bilimenti indonesiani alle filiali europee che poi, una per una, dovrebbero dichiarare al fisco del proprio paese quanto hanno guadagnato. In una logica di elusione, invece, può essere uti- lizzato come intermediario una società fantasma domiciliata in Ungheria che finge di comprare e vendere con metodi di fattura- zione che puntano a trattenere il massimo del valore in Unghe- ria dove vige uno dei sistemi più

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