Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2020

ma non importa. Uno di loro, un giovane medico di 29 anni, ci dice che «è meglio morire che vivere così». In questi giorni di novembre, quando l’Iraq è di nuovo inve- stito dalla violenza, i civili rivol- gono un appello al governo ita- liano con cui, negli anni, è stato mantenuto un rapporto di amici- zia e aiuto reciproco, oltre che al Consiglio di sicurezza del- l’Onu. Viene chiesto aiuto per evitare azioni ancora più vio- lente. Dopo la caduta di Sad- dam, c’è stata una parvenza di democratizzazione, ma poi i conflitti tra sunniti e sciiti hanno fatto ripiombare il paese in uno stato di violenza e povertà. Ad oggi le rivolte sono state se- date, ma i ragazzi, soprattutto gli universitari, continuano la loro battaglia di speranza. Sono ancora lì, a dipingere muri, a chiedere democrazia, libertà, ri- spetto dei diritti umani: «Questa volta riusciremo a cambiare le cose», continuano a ripetere, e la speranza è ciò che fa brillare i loro occhi. LA SPERANZA IN MEZZO ALLA DEVASTAZIONE C’è un’altra storia, parallela a quella di una città in rivolta. È la storia dei medici iracheni e italiani che lavorano fianco a vengono su manifestanti pacifici con la piena autorizzazione, da parte del primo ministro Adil Ab- dul Mahdi (poi dimissionario), di sparare sulla folla. Bisogna fer- mare le proteste, l’agitazione deve finire a prescindere dal co- sto in vite umane. All’esercito iracheno, rimasto neutrale sino a quel momento, verrà ordinato di lasciare la città. Il bilancio dell’attacco è di oltre 100 morti, 350 feriti gravi e molti dispersi. La maggioranza delle vittime ha tra i 15 e i 25 anni, ma c’è anche un ragazzo di 13 anni fra i caduti. LA PROTESTA CONTINUA I giovani iracheni comunque, continuano a manifestare contro la corruzione di un governo da cui non si sentono rappresentati - dicono infatti che subisca forti ingerenze dall’Iran - e in fondo vogliono semplicemente avere voce. Sanno che scendere in piazza significa rischiare la vita, fianco nell’ospedale di Nassi- riya. I medici operano bambini con ferite di guerra o con pro- blematiche legate a labbro le- porino e palatoschisi. In Iraq in- fatti, molte malformazioni sono dovute alla denutrizione a cui si somma il problema di un paese in costante stato di tensione, quando non di guerra, dove pur- troppo non è difficile imbattersi in ordigni inesplosi o in scontri a fuoco. Durante i giorni della ri- volta di novembre seguiamo in particolare la storia di Adam (nome di fantasia). Il bambino, affetto da palato- schisi, era in attesa dell’inter- vento risolutivo da circa un anno. Il giorno delle dimissioni dall’o- spedale i genitori lo portano a casa mentre fuori dall’ospedale infuria la rivolta: in lontananza il fumo dei lacrimogeni si mescola a quello dei copertoni bruciati, alle urla, agli spari. Eppure questa famiglia sorride: li seguiamo fino a casa, un’abi- tazione modesta in mattoni vivi, poco fuori Nassiriya. Ad abitare in queste due piccole stanze sono in otto, con qualche gallina da tenere in cortile, per le uova e per la carne. Prima di andarcene, Adam corre fuori e ci reagala una penna: «Così ti ricordi di me». MC A agosto-settembre 2020 13 MC In senso orario: una madre in attesa dell’esito dell’operazione al figlioletto. | Khalid, infermiere iracheno, aspetta la fine di un’operazione per riportare il bimbo alla madre. | Vicino a piazza al Haboby, ragazzi dipingono slo gan di pace sui muri. | Anche gli insegnanti scendono in piazza: chiedono la riapertura delle scuole e democrazia. * Rivolta | Reperti archeologici | Dittatura

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