Missioni Consolata - Aprile 2019

APRILE2019 MC 23 MC A «I giorni dopo la liberazione arriva- rono qui in tantissimi, Tv straniere e giornalisti. Entravano in città dentro le jeep dell’esercito e posa- vano facendosi fotografare con el- metti e giubbetti antiproiettile mi- litari. In realtà poi facevano solo qualche minuto di registrazione e andavano via, pochissimi sono an- dati tra i vicoli a parlare con la gente di questo luogo, chiedendo quale fosse il loro stato d’animo dopo la liberazione. Le vittime civili sono state tantis- sime, Mosul è stata liberata sì, ma a che prezzo? Alla gente che ha perso la famiglia per colpa dei bombardamenti, alla gente che non aveva colpa di questa guerra, quasi nessuno ha chiesto che cosa avesse da dire. C’è stata anche una grande cam- pagna mediatica attorno a tutto questo. In quei giorni sembrava che l’unica cosa importante da dire fosse: siamo degli eroi, abbiamo sconfitto i terroristi del Daesh e ri- conquistato Mosul! I giornalisti hanno continuato a venire per i successivi due mesi, poi pian piano hanno cominciato a dimenticar- sene, come vedrai tu stesso per le strade». Mosul, mi mostra le cicatrici in- ferte da un coltello e racconta: «Queste me le hanno fatte i Daesh, dicevano che i miei panta- loni erano troppo corti, così mi hanno portato nella chiesa armena che usavano per le esecuzioni. Pensavo che mi avrebbero ucciso, poi mi hanno picchiato e con un coltello, mi hanno fatto questi tagli sulle caviglie. Così dovrò ricordare per sempre di indossare pantaloni più lunghi». Mahmoud conosceva tutti in que- sto lato della città, camminando per le rovine mi racconta porta per porta la storia delle famiglie che ci abitavano, fino ad arrivare a quella che era casa sua. Anche lui ha perso una figlia, l’ultima nata della famiglia, aveva 5 anni. Mi mostra commosso una piscina gonfiabile, unico oggetto rimasto dei giocatoli della piccola. Subito dopo si fa molto serio e comincia a imprecare contro i terroristi e contro l’Ame- rica. Urlando mi dice: «I miliziani del Daesh avevano oc- cupato questa che era casa nostra e poi gli americani con le loro bombe hanno distrutto tutto. Le bombe americane hanno ucciso mia figlia e tanti ancora sono sotto le macerie ed è impossibile tirarli fuori. Perché? Cosa abbiamo fatto noi? Io avevo amici cristiani, era- vamo tutti amici, vivevamo in pace, noi non siamo terroristi, per- ché?». Ci vuole un po’ di tempo per far calmare Mahmoud e continuare a camminare insieme. Dopo ogni vi- colo, a noi si aggiunge qualcun al- tro: sono le persone che vogliono raccontare la propria storia. Vo- gliono ribadirmi che loro non hanno niente a che fare con i ter- roristi estremisti, che l’islam è una religione di pace. Tra le persone che si sono aggiunte al nostro cammino c’è Amir. Ha la- vorato per anni come falegname, anche lui ha perso casa e la bot- tega durante i raid americani. Amir mi mostra le rovine di una scuola e, con le lacrime agli occhi, mi dice che lì ci andava suo figlio, anche lui morto durante i bombardamenti, aveva 8 anni. Racconta: «In questa scuola ci an- davano sia cristiani che musul- mani, siamo sempre stati rispettosi Nessuno qui chiama gli uomini del califfato «Isis» ma «Daesh» (acro- nimo di Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham, Stato islamico dell’Iraq e della Siria). Per la gente del luogo la parola «Isis» risulta of- fensiva perché la connotazione «Stato islamico» potrebbe far pen- sare che tutto l’islam sia coinvolto con il terrorismo. Chiunque incon- tri ci tiene molto a ribadirmi que- sto concetto. Camminando per i vicoli distrutti della città vecchia di Mosul vedo tanti ragazzini che scavano tra le macerie: cercano rame, ferro, ac- ciaio, qualsiasi cosa possano poi ri- vendere per qualche dollaro. La settimana prima del mio arrivo, mi raccontano, un bambino di 6 anni è saltato in aria per aver cal- pestato una bomba, fino a quel momento inesplosa. Questi inci- denti sono molto comuni, più volte gli agenti di polizia mi ribadiscono di non entrare troppo all’interno degli edifici crollati, per l’elevato pericolo di esplosioni o cedimenti. Le storie di Mahmoud e Amir In uno dei tanti vicoli incontro Mahmoud. Nato e cresciuto qui, non ha mai voluto abbandonare • Guerra all’Isis | Islam | Sunniti | Sciiti •

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