Missioni Consolata - Aprile 2019

condizioni di sicurezza. Biko è molto critico con il suo paese: «Sono nato nella guerra, cresciuto nella guerra e le conse- guenze sono nefaste, non mi hanno permesso di studiare». La famiglia è composta anche da altri tre figli, ci raccontano entrambi, di 10, 6 e 4 anni. L’ultima, qui con loro, ne ha 2. «Sappiamo che è un rischio lanciarsi in una migrazione con una grande famiglia. Ma ci ha spinto il fatto che il nostro paese non è stabile. La gente vive sem- pre in mezzo a conflitti armati, in- tercomunitari, c’è la repressione dei governi, la cattiva gestione. Le ricchezze del paese non sono con- divise in modo che tutti ne benefi- cino per vivere in pace». La moglie, Evelyn, in un francese più impacciato, aggiunge: «Ab- biamo lasciato il Ciad per cercare una vita migliore per noi e i nostri figli. Il nostro obiettivo è cercare fortuna in Marocco». E continua raccontando il loro viaggio, ini- ziato quasi un anno fa: «Siamo partiti da Ndjamena con un ca- mion e siamo arrivati in Nigeria. Poi da lì è stato complicato, an- che a causa della polizia. Ab- biamo spesso dovuto nego- ziare e alla fine abbiamo pure perso i documenti». Entrati in Niger si sono di- retti a Nord, fino ad Aga- dez, la città nigerina alle porte del Sahara, nella quale tutti i flussi dei migranti s’incontrano: da Est, da Sud e da Ovest. E dalla quale si parte per l’Algeria o la Libia. Qui, qualcuno in «uniforme» ha avuto compassione della fami- glia e ha sconsigliato loro di proseguire: «Con questi bambini farai la loro tomba nel de- serto», hanno detto. E poi li ha aiutati a tornare a Niamey. Tra l’incudine e il martello «Siamo qui da quasi otto mesi - dice Biko -, i bambini non vanno a scuola, e non abbiamo neppure una casa. Viviamo all’aperto. Quando piove ci lasciano mettere sotto una tettoia adibita a mo- schea, poi però dobbiamo slog- giare. Non abbiamo provato a fare i visti per il Marocco, perché non so come fare e non ho soldi. Non abbiamo più nulla». Chiediamo alla coppia se non pensano sia meglio tornare in Ciad. Risponde Biko: «Sì, ma ab- biamo paura di quello che suc- cede nel nostro paese, in partico- lare il terrorismo. Inoltre mi hanno detto che se sei stato all’e- stero più di tre mesi, quando ri- torni ti sospettano di terrorismo. Devi giustificare cosa hai fatto, al- trimenti ti sospettano di essere con Boko Haram. Siamo tra l’incu- dine e il martello». Il Ciad fa parte della coalizione militare con Niger, Nigeria e Ca- merun, che combatte i terroristi di Boko Haram (Cfr. MC ottobre 2016). La capitale Ndjamena è molto vicina al Nord Est della Nigeria, zona storica di questo gruppo che ormai inter- viene nei quattro paesi nei pressi del lago Ciad. lavorato riesce ad attraversare il Sahara e arrivare a Oran, città al- gerina sulla costa. Qui trova un la- voro per mettere insieme un po’ di soldi ma «una sera, uscito dal lavoro, mi ferma una pattuglia della polizia. Io non avevo i docu- menti. Mi hanno portato all’uffi- cio immigrazione. Chiesi che cosa avevo fatto, ma mi dissero che dovevo partire. Volevo passare da casa a prendere le mie cose, ma non lo consentirono». Rin- chiuso in un locale con altri clan- destini, dopo alcuni giorni Mi- chael viene messo su un camion «quelli che portano fino a 150 persone», e trasferito verso Sud. I migranti respinti sono quindi scaricati in Niger, nei pressi della frontiera. In qualche modo arriva poi a Niamey. «Qui la situazione è peggiorata, non riesco a trovare lavoro. Ho deciso di tornare in Li- beria ma non posso arrivare senza un soldo. Nel mio paese la guerra ha rovinato tutto, ha uc- ciso i miei genitori. Anche per questo me ne sono andato». Famiglia migrante Nella parrocchia di Garbado, que- sta mattina ci sono una decina di persone. Tutti uomini o ragazzi. Unica eccezione è una famiglia, padre, madre e bimba piccola. Accettano di parlarci. Biko (nome di fantasia) parla un ottimo francese. Lui e la famiglia vengono dal Ciad, in particolare da Ndjamena, anche se, ci tiene a precisare, sono originari del Sud, Doba, dove ci sono i pozzi di pe- trolio. Lui ha tentato più volte di studiare giurisprudenza all’uni- versità, nel vicino Camerun. Prima nel 2007, poi dieci anni dopo. In entrambi i casi ha do- vuto lasciare a causa delle cattive A sinistra : la famiglia ciadiana incontrata. Evelyn, Biko e la loro bimba. Sotto : Michael Johnson, liberiano, un vero «globe trotter» dell’Africa, per necessità. Ha percorso il continente da Ovest a Est e viceversa e poi dal centro al Nord, e vice- versa. Alla ricerca di una vita migliore. # MC A

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