Missioni Consolata - Marzo 2019

48 MC MARZO2019 D fuso dalla classe dirigente agli ultimi della storia non solo con le lettere e le parole. Per Ai Tian il viaggio fu un passaggio da una perife- ria come Kaifeng alla capitale dell’impero dove so- pravviveva una colonia monoteista (la piccola chiesa di San Giovanni Battista nella quale viveva Ricci): una comunità ecclesiale avvertita «come una bizzarra intrusa», all’interno della capitale dell’Impero Celeste e che, dal punto di vista dell’or- dine amministrativo, doveva essere autorizzata alla stanzialità. Prima dell’incontro, lo stesso Ricci non avrebbe mai immaginato la presenza di ebrei in Cina. Vice- versa, Ai Tian avrebbe potuso solo ipotizzare che quel cristiano europeo fosse un esponente di una setta: Ricci era un monoteista, non un cinese, non confuciano e neppure ebreo. Per Ai Tian, l’aver ot- tenuto il permesso di sostare nella capitale dell’Im- pero Celeste era l’unico punto di privilegio ricono- scibile nel volto del suo interlocutore extraconti- nentale. Un funzionario ambizioso incrocia, dunque, la sua noiosa vita di burocrate con quella di un reietto, uno dei tanti ospiti indesiderati, un letterato giunto a Pechino dopo un lungo percorso da Occidente ad Oriente. Non un esiliato, non un rifugiato, non un naufrago. L’espressione riferita a Ricci è di ospite non gradito, «uno degli ospiti indesiderati» 14 . Il lettore non può, a questo punto, dimenticare un altro chengyu cinese: 接风洗尘 jiē fēng xĭ chén 15 che significa «far entrare il vento per lavare la pol- vere». Esso chiarisce bene il gioco delle parti: l’e- spressione di benvenuto rivolta all’ospite, ricorda anche al padrone della dimora che occorre «fare entrare il vento» affinchè la casa si possa lavare dalla sua stessa polvere. L’ospite, seppure indeside- rato, porta qualcosa di nuovo. Fu forse questa ispi- razione che aprì il dialogo fra i due. L’incontro e il dialogo L’incontro fra Matteo Ricci e Ai Tian avviene così: davanti al dipinti della Madonna con Bambino e di san Giovanni Battista, dispo- sti ai lati dell’altare della piccola chiesa di San Giovanni Battista, a Pechino. L’interpretazione di quei dipinti è la prima occasione di traduzione. Mancata, sospesa, fraintesa e infine aggiustata. Non è co- stume del popolo di Kaifeng venerare le immagini. Quando Ai Tian vede Matteo Ricci-Li Madou che si ge- nuflette davanti alla maternità, lo imita «assumendo che i due individui rappresentati fossero Rebecca e i suoi figli Jacob ed Esaù, con cortesia segui ì il costume» 16 . È il culto degli antenati della tradizione confuciana che induce Ai Tian, ebreo, a vedere i suoi patriarchi e a compiere il gesto di genuflettersi. Si trattava della maternità cristiana, ma ma lui vi scorse Re- becca con Giacobbe e, nell'altro dipinto, Esau. Re- becca resta comunque un’antenata di Maria. Mat- teo Ricci non vede un’incongruenza nell’interpreta- zione dei simboli e delle immagini. Poi Ai Tian os- serva i quattro evangelisti e si domanda se quelle fi- gure possano essere quattro dei dodici figli del bambino ritratto sull’altare. Li Madou non lo cor- regge, pensa solo che c’è stata una confusione fra evangelisti ed apostoli: in fondo i dodici apostoli possono essere interpretati simbolicamente come i figli spirituali di Cristo. Fu questo il primo incontro, la prima mediazione culturale che seppe realizzarsi tramite il fascino su- scitato dall'arte in ciascuno dei due interlocutori. Uomini esploratori, liberi di entrare nei significati della traduzione e capaci di disvelare strade nuove attraverso la curiosità, capaci di mantenere il re- spiro davanti a ciò che «non è ancora» compiuto e di conservare il timore, quel timore che ciò che si attende dalla storia, in un attimo può scomparire e diventare «un non più». Cosa rimane, nella nostra normale quotidianità, dopo aver rispolverato questa vicenda attraverso il libro di Michael Pollak Mandarins, Jews, and Missio- naries , dedicato alla testimonianza del passaggio e della stanzialità della comunità ebraica nell’impero cinese? Una testimonianza che ha conservato il sa- pore della dimensione esperienziale, di vita. Posso tentare di rispondere che cosa ha significato per me, nel mio lavoro di mediatrice culturale e lo fac- cio partendo da un altro chengyu . Dal linguaggio metaforico dei proverbi, da parole che parlano all’anima popolare, si può infatti imparare a tradurre l’inesauribile ric- chezza di umanità, presente nella nostra esistenza, in azione concreta. A lato: un busto di Confucio (551 a.C.-479 a.C.), filosofo che ebbe un grande influsso sulla Cina e tuttora lo ha attra- verso il confucianesimo, la sua dottrina filosofica-religiosa. D © Franco Folini

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