Missioni Consolata - Marzo 2019

la «zona di sicurezza» di John Rabe, imprenditore filonazista della Siemens, a favorire il salvataggio di migliaia di civili. Rabe decise di aprire la fabbrica per accogliere donne e bambini, abitanti della città in quella notte del 13 dicembre 1937. I morti di Nan- chino sono rimasti nel silenzio e nell’anonimato per troppi anni nei cicli di una storia senza pace, come quegli ideogrammi finali di «luoghi dell’anima» can- cellati dalle tavolette degli antenati. Solo recentemente, a ottant’anni di distanza, nelle librerie di Nanchino si trovano testi, lettere e scritti che documentano lo stupro. Ad oggi le autorità giapponesi non hanno dato segnale ufficiale di ri- prendersi dalla «dimenticanza». L’olocausto asia- tico continua a rimanere nell’oblio. A Kaifeng, nel 1938, le autorità giapponesi, oltre ad assicurarsi il riconoscimento dell’alleanza con la Germania, intendevano anche «dare ragioni ogget- tive» di sicurezza alla guerra e di legittimazione alla politica di invasione della Manciuria. Già dal 1895, i militari giapponesi avevano iniziato a co- struire una propria identità nazionale, fondata su un’idea di straniero, opposto all’autoctono del Sol Levante. Ciò che caratterizzava lo straniero non poteva definire ciò che era giapponese: in questo contesto, la Cina fu vista come «società di banditi», barbara che avrebbe infestato «la civiltà mon- diale». Obiettivo del progetto panasiatico nipponico era seguire il colonialismo occidentale e sabotare l’immagine della civiltà cinese, anche dall’interno (approfittando del clima di guerra interna fra eser- cito del Guomindang ed esercito comunista). Allargandoci a uno sguardo antropologico, com- prenderemo ben presto che la posizione di quell’in- vasore fu molto distante da quella dell’ospite «non ancora autorizzato» quale fu Matteo Ricci: qualita- tivamente lontano dalle mire espansionistiche del- l’invasore giapponese, qualitativamente diverso il suo volto, orientato alla via dell’inculturazione e non al colonialismo. Quando ancora a Kaifeng si po- teva respirare un clima che metteva in circolo la cultura, i linguaggi, le religioni, per custodire il fu- turo. Senza usurparlo. L’ospite non gradito Nel 1600 Ai Tian fu animato, prima di tutto, da una ragione 13 : quella di controllare ciò che l’arrivo di Matteo Ricci avrebbe potuto provocare come im- patto nell’ordinata capitale. Ma fu mosso anche da un sogno. Un sogno che aveva iniziato a realizzarsi già prima della partenza: un desiderio di successo e visibilità verso il servizio civile dell’Impero Cen- trale e l’ambizione di controllo su un fenomeno ina- spettato. Li Madou: un cristiano, non un ebreo, un monoteista ma non un confuciano, un missionario e non un funzionario; per Ai Tian, rappresentava un uomo che probabilmente era stato costretto ad al- lontanarsi dall’Europa e a errare per la Cina fino a giungere alla capitale. Un passaporto identitario, quello di Matteo Ricci tracciato da Ai Tian, molto diverso da quello propo- sto nei libri della storia italiana, europea ed occi- dentale. Matteo Ricci: teologo e cartografo, fu il pioniere che entrò in conflitto col «Vaticano» per difendere le pratiche degli antenati, tipiche del confucianesimo. Ricci fu il primo anello di congiunzione tra la cul- tura europea rinascimentale e quella cinese: resta comunque tra i pochi stranieri a figurare nell’«En- ciclopedia nazionale» della Cina. Fu il primo missionario che ottenne dall’Impera- tore l’autorizzazione a fondare una chiesa a spese dell’erario: resta il primo europeo che si vestì da mandarino perché aveva colto che la trasmissione del suo messaggio cristiano sarebbe stato poi dif- © Michael Maher Il CIELO SOPRA PECHINO

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