Missioni Consolata - Aprile 2018

gramma di cooperazione (un tempo si sarebbe definito di aiuto allo sviluppo), è molto debitrice alla svolta attuata in Italia alla fine degli anni ’60 che ha trafor- mato i gruppi di appoggio alle missioni in organismi di volonta- riato. In questo senso, si può tracciare una linea che unisce la figura di cooperante con quella dei primi volontari internazionali? C’è qual- cosa in comune tra chi si occupa di Project cycle management e chi negli anni ’60 andava a «co- struire la scuoletta» in qualche sperduta missione africana? O in- vece è qualcosa di completa- mente diverso tale da segnare una discontinuità o cesura deter- minata da altri fattori, non ultimo la globalizzazione che ha forzata- mente delimitato la cooperazione a livello intellettuale? Per provare a fronteggiare queste domande e temi, credo sia utile partire proprio da loro, i volon- tari. Contro l’ingiustizia Siamo nel momento, negli anni ‘60, in cui nasce in molti la richie- sta ed esigenza di «fare qual- cosa» per contrastare la fame nel mondo, permettere standard di vita decenti, assicurare i bisogni di base a una umanità sofferente e lontana eppure così vicina. Parlo della nascita di quel movi- mento all’interno dei paesi del Nord del mondo che si sente par- tecipe e responsabile dello svi- luppo del Sud. Un’introduzione a questo immaginario la offre uno dei più noti volontari (non coope- rante) del panorama italiano di quegli anni, Gino Filippini, in un’intervista a Famiglia Cristiana del 1969: «L’esperienza di Ki- remba ha cambiato la mia vita. Per un europeo andare laggiù si- gnifica trovarsi faccia a faccia con problemi insospettati: miseria, fame, dolore. Ci si accorge, allora, di quanto ognuno di noi si sia chiuso nel suo guscio, nel proprio angusto cerchio di egoismo, tutti presi come siamo dal desiderio di guadagnare, di primeggiare, di avere sempre più soldi, più cose materiali. A Kiremba ho imparato ad amare davvero il mio pros- simo, a dimenticarmi di me stesso. Ho avuto la soddisfazione di vedere gli indigeni migliorare le loro condizioni di vita grazie an- che ai miei modesti insegna- menti. E anche loro mi hanno in- APRILE 2018 MC 59 sono anche le Ict ( Information and communication technolo- gies ), le tecnologie della comuni- cazione e dell’informazione appli- cate allo sviluppo, ormai fonda- mentali, di cui si richiede una co- noscenza professionale e trasver- sale». Manager del bene? È la chiara definizione di un ma- nager in cui la competenza fa pre- mio sullo spirito volontaristico. In questo articolo vorrei ap- profondire il legame, se esiste, tra il primo volontario internazio- nale provvisto spesso di fede, ot- timismo e buona volontà e l’ul- timo cooperante, professionista formato e, non di rado, con pre- cise e legittime ambizioni di car- riera. L’impressione è che questa figura, chiamata a cimentarsi con la di- mensione progettuale di un pro- MC A • Volontariato | Cooperazione | Solidarietà internazionale • A sinistra : due cooperanti in riunione con un’associazione di contadini, ad Haiti. Qui a fianco : il volontario Tommaso degli Angeli, durante la sua permanenza in Congo Rd. Abbiamo ospitato la sua testi- monianza nei numeri di aprile, maggio, giugno e agosto-settembre 2015. Sotto : una cooperante in Burundi, con donne burundesi, durante un incontro di lavoro per un progetto di sviluppo. # © Tommaso degli Angeli © Marco Bello

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