Missioni Consolata - Marzo 2018

78 MC MARZO2018 metri. L’aereo doveva quindi necessariamente at- traversare un passaggio più basso tra i monti. Alle 15.24 il pilota chiamò inspiegabilmente la torre di controllo di Santiago, comunicando di essere en- trato nello spazio aereo cileno e di aver iniziato l’av- vicinamento all’aeroporto. Fu autorizzata la discesa e a quel punto ci fù la virata fatidica che fece diri- gere il velivolo dritto nel bel mezzo della Cordi- gliera. Forse il pilota fu indotto in errore da un malfunzio- namento degli strumenti di bordo (originato da in- terferenze magnetiche dovute alle perturbazioni), ma non si potrà mai sapere cosa sia realmente suc- cesso perché le apparecchiature del Fokker, che non erano state danneggiate dall’incidente, le ren- demmo inutilizzabili noi superstiti nel tentativo in- fruttuoso di usare la radio di bordo per chiamare i soccorsi. L’aereo iniziò la manovra di discesa mentre si tro- vava tra il Cerro Sosneado e il vulcano Tinguiririca. Dopo qualche minuto incontrò una fortissima tur- bolenza che gli fece perdere quota. A quel punto le nuvole si erano diradate e, sia il pilota che i passeg- geri si accorsero che stavano volando a pochi metri dai crinali rocciosi delle Ande. Alle 15.31, a circa 4.200 metri di altitudine, l’aereo colpì la cima di una montagna con l’ala destra che, nell’urto, si staccò e ruotando tagliò la coda del veli- volo. La coda quindi precipitò, portando con sé al- cuni passeggeri. Priva di un’ala e della coda, la fuso- liera precipitò. Colpì un altro spuntone roccioso perdendo anche l’ala sinistra e toccò infine terra su una ripida spianata nevosa. L’aereo scivolò lungo il 4 chiacchiere con... pendio per circa due chilometri, perdendo gradual- mente velocità fino a fermarsi». Quel giorno era il 13 ottobre. Siete stati rag- giunti dai soccorritori solo il 22 dicembre. Come vi hanno trovati? «A bordo eravamo in 45. Diciotto morirono subito nell’impatto che spezzò in due la fusoliera. Altri un- dici persero la vita pochi giorni dopo per le ferite e per il freddo. Sopravvivemmo in sedici e venimmo salvati il 22 dicembre perché due di noi, Roberto Canessa e Fernando Parrado, intrapresero una mar- cia che durò due settimane per raggiungere il fondo valle. Dopo tanto camminare un pomeriggio essi vi- dero un «gaucho» a cavallo dall’altra parte di un fiume e riuscirono a lanciargli un pezzo di carta av- volto intorno a un sasso nel quale spiegavano chi erano. Le ricerche che erano state interrotte due mesi prima, in quanto era escluso che in quelle con- dizioni qualcuno potesse sopravvivere più di qual- che giorno, furono subito riprese e venimmo recu- perati nei giorni seguenti». A questo punto, Carlos, arriviamo a uno degli elementi più delicati della vostra vicenda: come riusciste a sopravvivere per 72 giorni a quasi 4000 metri sulle Ande? «Man mano che passavano i giorni la situazione di- ventava sempre più disperata e ci sentivamo più de- bilitati. Fu in quel momento che cominciò a farsi strada un pensiero fra noi superstiti: se volevamo continuare a vivere, non avendo cibo a disposi- zione, dovevamo nutrirci con i corpi delle vittime del disastro. Quella era la nostra unica possibilità di

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