Missioni Consolata - Dicembre 2017

ITALIA 18 MC DICEMBRE2017 Mai tornare indietro «La missione è in crisi? Non sap- piamo più che pesci pigliare? Que- sto non ci dà il diritto di fermarci o tornare indietro, perché la mis- sione è molto più grande di noi. La nostra identità è essere missionari ad gentes, cioè annunciare il Van- gelo a quelli che ancora non lo co- noscono. Parlando dell’intercultu- ralità dei nostri istituti: abbiamo fatto molto andando in missione, adesso quelli che abbiamo evan- gelizzato diventano i nostri re- Dai ribelli della Sierra Leone ai buddhisti delle baraccopoli thailandesi Un’Angela a Bangkok «Non sono una scrittrice», esordisce suor Angela. Ma di cose da raccontare ne ha davvero tante. «È vedere l’opera di Dio in queste donne emarginate uno dei doni più grandi che Lui mi ha fatto». S uor M ARIA A NGELA B ERTELLI è missionaria save- riana. Dopo un periodo ad Harlem (New York), viene inviata in Sierra Leone. Qui, nel 1995, è ra- pita dai ribelli del Ruf ( Rivolutionary United Front ). Tor- nata in libertà, le sue superiore la destinano a una mis- sione che non si sarebbe aspettata. «Da 16 anni sono in Thailandia. Quando dovemmo la- sciare a forza la Sierra Leone mi mandarono nel paese asiatico. Avevo 40 anni. Non è il mio posto, pensai, si sono sbagliate. Ma poi piano piano…». A un certo punto, suor Angela chiede un permesso spe- ciale: vuole lavorare in una baraccopoli di Bangkok, ca- pitale del paese. «Per una serie di vicissitudini avevo bi- sogno di uno stacco. Ci sono arrivata molto prostrata, da tante cose. Non è mai stata in crisi la vocazione ma forse il modo di fare missione. Nella baraccopoli non ero né più pulita né più sporca di loro, né migliore né peggiore. Ma da questo fango di pe- riferia sono rinata, non so neanche io perché». Dio non esiste Suor Angela racconta la complessità nel portare il Van- gelo in una realtà come quella Thai, dove c’è il buddhi- smo Theravada che non riconosce Dio. «Come fai a par- lare di uno che non esiste? Come glielo fai incontrare? Come si fa con un linguaggio che non veicoli il nostro mondo, il modo in cui noi comprendiamo Dio?», sono le domande che si pone la missionaria. «Non potendo usare questo linguaggio perché è ambi- guo, non resta che l’azione, il gesto. Non rimane che te stessa nuda e cruda davanti a questa realtà. Una realtà che è a volte una vergogna». Nella baraccopoli suor An- gela, che è pure infermiera, fa riferimento a una comu- nità del Pime e si mette al servizio. «Ho cominciato a lavorare nella parrocchia. Aiutavo i bambini a fare la fisioterapia, soprattutto i malati di Aids in fase terminale, che è forse peggiore della lebbra. Non mi era mai capitato. Erano davvero rifiutati quando li portavano in ospedale…». La gente inizia a identificarla come «colei che cura i ma- lati» e a cercarla per gli interventi più strani. È il 2005, la Caritas di Brescia vuole far partire un pro- getto per bambini disabili: «La casa degli angeli», ispi- rato dalla capitale, Bangkok, che significa «la città degli angeli». Chiedono a suor Angela se vuole occuparsene. «Io ho un permesso di un anno, dissi loro, e mi mancano solo alcuni mesi». «Ho visto di nuovo l’opera di Dio. La casa si è riempita di bambini disabili. Come li sce- gli i bimbi? Non li scelgo, vengono loro. Se posso fare qualcosa li ac- colgo, altrimenti li indirizzo da un’al- tra parte». Il Vangelo incarnato Nella cultura in cui si trova Angela, quando un bimbo è di- sabile si tratta della ma-

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