Missioni Consolata - Maggio 2017

a frequentare chi non riceve il permesso, aiutan- dolo a costruire una rete sociale. Non voglio che si senta abbandonato». Due mondi che s’incontrano L’avvicinamento tra due mondi è possibile solo se entrambi hanno la volontà di camminare verso l’altro. «Una volta pensavo che fosse compito solo di noi stranieri fare lo sforzo di integrarci - ri- corda Abdullahi - ma mi sbagliavo. È importante preparare il territorio, coinvolgere i giovani nati in Italia, parlare con loro». A dargli l’occasione per iniziare una nuova tappa di dialogo è stato, paradossalmente, un evento tragico. Il 3 ottobre del 2013 un barcone affondò al largo di Lampedusa causando 368 morti e 20 dispersi. Il giorno dopo in una scuola del Piemonte, un pro- fessore propose ai propri studenti un minuto di si- lenzio per le vittime del mare. Alcuni si rifiuta- rono. «Ma che ce ne frega a noi di questi. Face- vano meglio a non venire», disse uno. Spiazzato dall’atteggiamento della classe, il docente provò a correre ai ripari, pensando di mettere i propri studenti a confronto con l’oggetto stesso della loro diffidenza. Alcune telefonate dopo, Abdullahi si presentò a scuola per raccontare la sua storia, in buona parte simile a quella dei ragazzi annegati il 3 ottobre. Due ore di resoconto serrato, un’antolo- gia di emozioni mescolate a fatti di storia contem- poranea incisi sulla pelle. Grazie a quell’incontro il ragazzo che aveva detto di «fregarsene» iniziò invece a interessarsi e invitò Abdullahi a partecipare a un’assemblea di istituto per portare la sua testimonianza a tutta la scuola. «Da allora ho deciso di raccontare la mia storia per ridurre le distanze tra italiani e migranti. È di- ventata la mia missione. In tre anni ho incontrato più di 10mila studenti e i riscontri sono sempre positivi». Un’attività di volontariato che Abdullahi svolge con spirito civico, ma anche autoironia e simpatia. Pronto a rispondere a domande senza filtri, come quella volta che gli chiesero perché non se ne fosse andato in Botswana, invece che in Italia. «Non ci sono domande scomode o cattive. È stimolante discutere con chi la pensa diversa- mente, altrimenti che confronto sarebbe! - sorride Ahmed -. I ragazzi mi chiedono della mia famiglia, della mia religione, se vengo pagato dallo stato, se pago l’affitto, se lavoro. Io rispondo alle loro curio- sità. E così ci conosciamo e siamo un po’ meno lontani. È un’esperienza magnifica». L’impegno civile L’impegno di Abdullahi non conosce confini e nel 2014, rimasto senza lavoro come mediatore, con di- ritto all’assegno di disoccupazione, ha deciso di ri- fiutare l’aiuto dello stato per svolgere il servizio ci- vile nazionale e restituire una parte di sé a Settimo Torinese, la città che lo aveva accolto anni prima. Un esempio di partecipazione civica che non è sfug- gita alla giunta comunale che il 18 settembre 2014 ha insignito Abdullahi della cittadinanza onoraria. A marzo del 2016 è diventato cittadino italiano a tutti gli effetti, ottenendo la possibilità di votare, di viaggiare e di poter vivere dove vuole. Anche nel tempo libero il giovane mediatore non perde occasione di portare un contributo all’in- contro interculturale. Dal 2014 è uno degli orga- nizzatori della cellula torinese, e da poco anche settimese, di Arte Migrante, un evento serale in- formale, una corrida senza pomodori, in cui per- sone provenienti da tutto il mondo, di ogni ceto sociale e di ogni età, si esibiscono in performance di danza, canto, recitazione e molto altro. «Si sta insieme per il piacere di farlo. Tanti richiedenti asilo, rifugiati e nuovi cittadini partecipano con me alle serate e per un momento smettono di pen- sare ai problemi quotidiani. Ci divertiamo e le oc- casioni di socializzazione si moltiplicano in un’at- mosfera magica». E mentre ricorda tutto questo Abdullahi si tocca il collo. Dalla camicia fa capolino una maglietta rossa. O meglio granata. Improvvisamente una luce di orgoglio illumina il suo sguardo. «Sì, sono del Toro. La più grande squadra del mondo», dice serio Abdullahi che, appena ne ha avuto la possi- bilità, ha cominciato a sedersi in curva Maratona. «All’inizio della mia esperienza in Italia, i tifosi mi hanno aiutato a sentirmi parte di un gruppo. Ogni volta che il Toro faceva gol ci abbracciavamo e a nessuno importava se io fossi nero, somalo, stra- niero, migrante o altro. Ero come loro, un tifoso granata». Quell’abbraccio che lo ha fatto sentire a casa lo re- stituisce ogni volta che fa quello che gli riesce me- glio. Essere l’ingranaggio funzionante di un dia- logo appena iniziato. Simona Carnino Qui sotto : Abdullahi tifoso del Torino, con un amico in curva Maratona. Pagina seguente : due momenti della vendemmia a Canelli, con Afa e Mamadou (rispettivamente secondo e terzo da sinistra). D 44 MC MAGGIO2017 D © Abdoullahi Ahmed

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