Missioni Consolata - Maggio 2017

suoi famigliari. La cifra per l’affrancamento dai responsabili del meretricio è molto più alta di un normale biglietto aereo e arriva anche ad alcune decine di migliaia di euro. «Io sono scappata - ricorda Princess -. Oggi sono qui a testimoniare alle ragazze che di juju non si muore e si può provare a uscire da questo in- cubo». Identikit delle vittime di tratta «Sono una delle poche ghanesi finite nelle mani del racket della prostituzione - afferma Fatima -. La maggior parte delle donne di colore che si ve- dono sulla strada sono nigeriane». Secondo i dati dell’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati) il 15% dei migranti arrivati in Italia nel 2016 proviene dalla Nigeria. Tra di loro circa 11mila sono donne, di cui l’80% è vittima di tratta, come confermato dall’Organizza- zione internazionale delle migrazioni (Oim). Un numero elevato se confrontato con il dato del 2015 che riporta 5.633 arrivi di ragazze in fuga da una nazione resa instabile dalle incursioni di Boko Ha- ram e da una iniqua ripartizione delle risorse eco- nomiche. Nel saggio « Sex Trafficking in Edo State, 40 MC MAGGIO2017 D Nigeria », edito dall’Unicri (Istituto di ricerca inter- regionale per il crimine e la giustizia dell’Onu) nel 2013, si evidenzia che l’85% delle vittime di tratta nigeriane proviene dalla regione denominata Edo, in particolare da Benin City e dai villaggi vicini. Abusando delle condizioni di vulnerabilità econo- mica delle famiglie, i trafficanti cercano nei genitori delle ragazze dei complici, facili da abbindolare con la promessa di un benessere garantito dagli introiti della prostituzione delle figlie in Europa. Un’illu- sione rafforzata dall’incontro con alcune madam , ex prostitute diventate sfruttatrici, che spesso ritor- nano nel paese d’origine sfoggiando simboli di ric- chezza quali telefonini di ultima generazione e case di proprietà. Qui sopra e accanto: Fatima intenta a trasmet- tere la sua esperienza alle ragazze che ha sal- vato dalla tratta. A destra in alto : Alioune, a casa sua, diventata parte del progetto «Rifugio diffuso» si appre- sta a mangiare con i suoi ospiti. D

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