Missioni Consolata - Maggio 2017

Una medaglia a due facce Non è un indizio da poco, perché quando nella pre- ghiera pensiamo di «isolarci», fuggiamo dalla no- stra vocazione. Al contrario, se la nostra è vera preghiera, non siamo mai solitari, anche se fisica- mente siamo soli, perché siamo abitati dalla mis- sione battesimale che ci apre all’ecclesialità uni- versale. O la preghiera nostra è cristologica, nel senso che possiede il respiro di Gesù, o è solo un parlarsi addosso o un volare sulle nubi dei sogni anche a occhi aperti. Gesù prende coscienza della sua missione e delle scelte della sua vita nella pre- ghiera, che diventa così «il luogo fisico» del suo rapporto col Padre che si esprime con i suoi disce- poli. È questa l’ecclesialità, perché pregare è capire quale deve essere la direzione della vita alla luce della Parola e dentro la comunità orante. Alla chiesa di Laodicèa, l’Angelo dice: «Ti consiglio di comperare da me… collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista» (Ap 3,18). Dal comporta- mento di Gesù, impariamo la differenza tra «solitu- dine» e « solitarietà o essere solitari». La prima è uno stato dell’essere, perché la solitudine è la profondità del nostro io, la capacità di stare con se stessi, abitando il pozzo profondo di sé. Essere soli- tari, invece, significa stare isolati, anche in mezzo agli altri: si può essere, infatti, in mezzo a una folla, ma stare soli e senza alcuna relazione. Si può, al contrario essere soli fisicamente, in carcere, in cella d’isolamento ed essere in comunione profonda con una moltitudine di persone. La soli- tudine ci dà la comprensione della nostra dimen- sione comunitaria, la solitarietà ci esclude da ogni relazione per rinchiuderci nella prigione del «non ho bisogno di nessuno, basto a me stesso». La soli- tudine è una dimensione dello spirito, la solitarietà un limite dell’egoismo. Non sa stare in comunità chi non è capace di vivere la propria solitudine come espressione del proprio esistere, così come non sa pregare da solo chi non è in grado di pregare in comunità, e viceversa. Soli- tudine e comunità sono due facce della stessa me- daglia e vale sia per le comunità religiose, sia per le coppie sposate, sia per gli amici. Soli e insieme, come Gesù che sta solo, ma in compagnia. La vita comunitaria in questa dimensione diventa lo spazio vitale dove la solitudine della persona si esprime e si realizza. La vita di comunione non è la somma di tante solitudini, ma la sinfonia di note singole che solo insieme, se armonizzate, riescono e possono dare come risultato un senso compiuto musicale. Pregare è vivere La preghiera non è un at- teggiamento o un mezzo per scandire le ore del giorno, ma «uno stato» esistenziale indirizzato al senso della vita. Si prega per vivere e poiché si vive insieme agli altri, si prega con gli altri, anche quando si è soli. Tutta la vita di Gesù è segnata dalla pre- ghiera. Si può dire che la sua giornata è scandita dalla preghiera che ne diventa l’at- tività è princi- pale. Il Vangelo di Luca riporta, più degli al- tri, molti riferimenti alla Insegnaci a pregare COSÌ STA SCRITTO di Paolo Farinella, prete 4. Solitudine, solitarietà e comunità Leggiamo nel Vangelo di Luca: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui» (Lc 9,18). Non è un’annota- zione di transizione, ma una prospettiva teologica: Gesù è in un luogo «solitario» ma non è isolato, perché «i discepoli erano con lui». È solo ed è in compagnia. MAGGIO2017 MC 31 © Agostino Baima

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