Missioni Consolata - Maggio 2017

Insegnaci a pregare preghiera di Gesù, tanto che, estrapolando i singoli passi e mettendoli insieme, si potrebbe ricavarne un autentico «vangelo della preghiera». Ad es.: Lc 3,21 (battesimo di Gesù); Lc 5,16; 9,18; 11,1 (luo- ghi isolati); Lc 6,12 (notte in preghiera); Lc 9,28.29 (trasfigurazione di Gesù); Lc 22,31.32 (Gesù prega su Pietro); Lc 22,41.44.45 (Gesù prega nel Getsè- mani). Prima di prendere una decisione impor- tante o nei momenti che precedono le svolte deci- sive della sua vita, Gesù è sempre in preghiera. Nessun momento né ordinario né drammatico della vita di Gesù è fuori da un contesto di pre- ghiera. Si direbbe che egli è in «stato permanente di preghiera». E questo Francesco di Assisi lo ha ca- pito perfettamente. Gesù ha un obiettivo: compiere la volontà del Pa- dre ed egli sa che questa volontà non è la sua morte in croce, come se Dio fosse assetato di san- gue innocente. Al contrario, la volontà del Padre è un progetto di alleanza per tutta l’umanità e per ciascun individuo: «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Spesso si pensa che Gesù, essendo Dio, abbia sem- pre saputo quello che doveva essere e fare: se era Dio si dice sapeva tutto e quindi, prevedendo tutto, andava sul sicuro: una sorta di superman con poteri extraumani. Questa è la caricatura di Gesù. Egli era profondamente e realmente «uomo» e come ogni persona umana ha scoperto il senso della vita vivendo la fatica della ricerca di senso. Se avesse saputo tutto «prima», il suo es- sere uomo sarebbe stato una finzione e la sua in- carnazione un inganno: un dio-barzelletta. Se così non fosse e avessero ragione i fautori della «divi- nità a oltranza», non avrebbe avuto senso che Gesù pregasse, perché, essendo Dio, sarebbe stato inutile e anche una perdita di tempo «pregare se stesso»: il massimo del narcisismo. Peggio: la pre- ghiera di Gesù sarebbe stata una finzione. Al con- trario è stata una costante della sua vita perché, come ciascuno di noi, egli «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Non ha avuto rivelazioni particolari, ma ha dovuto faticare come tutti, scoprendo il destino della sua vita lentamente, passo dopo passo, attraversando il percorso umano, senza sconti: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). L’invocazione «Dio mio», ripetuta, esprime il rifiuto della morte che Gesù sta vivendo. Egli non accetta di morire e forse non capisce perché sta morendo. Mentre Luca trasforma la morte di Gesù in «uno spettacolo - theorìa » (Lc 23,48) di gloria, senza san- gue, senza violenza, quasi una liturgia, Marco e Matteo invece evidenziano il dramma della sua preghiera che è quasi un «chiedere ragione» al Pa- dre ed esige una risposta. In Giovanni la morte di Gesù è la nuova creazione in cui la madre e il disce- polo svolgono la funzione di Àdam ed Eva, i (nuovi) progenitori che non si accusano a vicenda, ma si ac- colgono reciprocamente davanti al mondo intero, rappresentato da quattro donne credenti (le donne ebree) e da quattro soldati pagani che, indifferenti, si spartiscono le vesti. È il nuovo mondo che nasce nello stesso istante in cui Gesù prega il Padre di ac- cogliere il suo spirito. Non è un caso che per Gio- vanni il momento supremo dell’offerta della vita di Gesù coincida con il dono dello Spirito all’umanità nuova che sta sotto la croce: «E reclinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30). È la nuova Pente- coste. Le vesti divise tra i soldati sono simboliche delle capanne che gli Ebrei costruivano alla festa del Sukkôt per rivivere l’esperienza del deserto nelle capanne. Ora la capanna è la preghiera di Gesù che assume su di sé non solo «il peccato del mondo», ma l’intera umanità sperimentata, istante dopo istante, come un uomo vero nella pienezza e nella debolezza, nella fatica e nella speranza, nella gioia e nel dolore. Gesù prega perché ha bisogno di sapere chi è, di conoscere la via che deve percor- rere, di sperimentare il desiderio del Padre che è la sua vita. Luce e forza Luca è un autore attento perché ogni volta che Gesù deve prendere una decisione importante o si trova a una svolta della sua vita, lo descrive in pre- ghiera. Scegliendo spesso luoghi solitari, egli pone in evidenza il bisogno di creare condizioni adeguate per saper scendere nel profondo pozzo della pro- pria coscienza, cosa che non può avvenire nel cica- leccio, nella dissipazione e nella confusione. Le cose importanti accadono sempre nel silenzio, condi- zione previa per non ingannarsi e non essere ingan- nati. Il silenzio denuda il cuore e svela le ragioni delle scelte. In questa ricerca di senso della propria vita, Gesù prega per la realizzazione di sé come «in- viato» per una missione che ha bisogno di chiarire a se stesso giorno dopo giorno. Egli associa nella sua preghiera anche i discepoli, affinché condividano e illimpidiscano anch’essi lo sguardo della loro fede per capire «dove» si trovano e «dove» vanno. La preghiera di Gesù non ha lo scopo morale d’inse- gnare agli apostoli a pregare, anche se Gesù mostra loro lo stile e le condizioni della preghiera. Gesù dice di più: egli prega per chiarire a sé ciò che deve fare e quali scelte deve compiere, quindi invita an- che gli apostoli a fare lo stesso perché la loro Chiesa dovrà pregare «ininterrottamente» (cf 1Ts 5,18; cf Ef 6,18; Lc 22,46) se vorrà verificare il pro- prio cammino e la propria coerenza nella fedeltà al Vangelo. La Chiesa, che deve testimoniare al mondo quali sono le ragioni che reggono le scelte di Gesù, deve prima sperimentare e solo dopo co- municare con parole e atti ciò che ha vissuto. Nes- sun profeta può annunciare ciò che non ha speri- mentato. Ognuno, infatti, può testimoniare solo ed esclusivamente ciò che ha vissuto, dopo essere stato purificato dai carboni ardenti per poter man- giare il rotolo della Parola (cf Is 6,6-7; Ez 3,1-5). 32 MC MAGGIO2017

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=