Missioni Consolata - Maggio 2017

MAGGIO2017 MC 13 MC A Le donne sanno solo che ogni giorno, dal momento in cui si alzano al momento in cui andranno a dormire, dovranno andare alla ricerca di cibo da dare ai pro- pri figli e di acqua. Le case bruciate rimangono così per mesi, nonostante il materiale per la ricostru- zione delle abitazioni sia disponibile localmente, per- ché per tutto il giorno le persone sono nella foresta a cercare cibo. Il wild food , ossia piccoli frutti degli al- beri, è ciò che mangiano una volta al giorno, nient’al- tro. Per avere l’acqua occorre salire la montagna dove c’è la sorgente e rimanerci tutta la notte per riempire un secchio da 20 litri, perché scende goccia a goccia. E poi non è consigliato per le donne cammi- nare ore a cercare cibo e materiale da costruzione, visto che i dintorni rigurgitano di gruppi armati informali e il rischio di violenza è altamente diffuso. Alla domanda «qual è il maggiore problema?», è dura sentirsi dire «la mancanza di cibo», «la fame». Come è dura vedere gli occhi spenti e le espressioni vuote di ragazze adolescenti che non hanno nemmeno energia e forza per capire quello che dici, per rispondere. Quale futuro? La frequenza scolastica ormai è bassa, sia perché le mense sono senza cibo, sia perché le famiglie non hanno soldi per pagare la scuola. A questo si somma l’esodo dal paese, dei bambini e degli insegnanti, a causa di insicurezza e fame. Tra i molti sfollati interni sono tante le famiglie nelle quali i figli sono separati dai genitori. La gente del villaggio si occuperà dei minori non accompagnati, ma quale impatto psicosociale avrà il conflitto su questi bambini e su un’intera generazione (se non due generazioni)? Un conflitto che non vede una fine, mentre ogni giorno si apre o si riaccende un focolaio di scontri. E non si sa più tra quali parti. I gruppi contrapposti non sono più due, ma decine o centinaia. E forse l’etnia è la variabile che c’entra di meno. Oltrettutto gli operatori umani- tari sono ormai un bersaglio comune, sia staff locale, sia internazionale, come pure le loro abitazioni e uffici, continuamente saccheggiati. Crimini contro l’umanità Esiste un sistema giuridico internazionale e un si- stema penale internazionale, e ancora crediamo nella loro efficacia. Ormai è noto a tutti che qui le di- verse fazioni si stanno macchiando di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. È visibile il genoci- dio, come denunciato dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, rimasto inascol- tato. Quando si avvicinano a un’auto e chiedono se al- l’interno c’è gente della tale etnia per uccidere e bru- ciare solo quelli e far passare gli altri, cos’è? Perché non si possono fermare, attraverso azioni legali, co- loro che stanno commettendo quotidianamente que- sti crimini? Non si intravede nessuna svolta, si contano invece centinaia di persone lasciare ogni giorno la propria casa, per cercare rifugio in un paese confinante o un villaggio più pacifico all’interno del Sud Sudan, dove però si diventa facilmente vittime della fame, ormai diffusa anche nelle regioni che produce- vano per l’agricoltura interna, come le tre regioni del Sud. Lo scorso luglio, poi, il conflitto si è esteso pure a quelle zone. L’insicurezza diffusa ha progressivamente impedito l’accesso alla terra, la mancanza di sementi e attrezzi agricoli (spesso sac- cheggiati o abbandonati perché le famiglie sono state costrette a scappare) e la sic- cità, che ha colpito l’area lo scorso anno bruciando i raccolti, hanno fatto il resto. Se qualcuno mi chiedesse cosa consiglio, direi «andatevene», lasciate al più presto questo paese dove i politici fanno i loro giochi di potere e di denaro, mentre la gente resta loro sottomessa, perché, se- condo la loro cultura, si abbassa la testa e si annuisce di fronte all’autorità. Antonio La Torre * * Nome di fantasia di un cooperante che vive e lavora in Sud Sudan ormai da mesi e preferisce mantenere l’anonimato. Qui a fianco : donne sfollate in attesa di ricevere aiuto dalle operatrici umanitarie (a destra). #

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