Missioni Consolata - Marzo 2017

denti sono pronti ad annullare tutti i propri impegni pregressi nel caso venisse chiesto loro di fare degli straordinari. Lo sa bene Emiko Teranishi, 67 anni, a capo di una rete nazionale di familiari delle vittime di karo- shi , la quale ha recentemente rac- contato la vicenda di suo marito. Era un manager in un ristorante di soba noodle (tagliatelle giappo- nesi) nella prefettura di Kyoto, la- vorava più di 4000 ore l’anno (ol- tre 10 ore al giorno nei 365 giorni dell’anno, ndr ). Si è suicidato in seguito a una lunga depressione dovuta alla mancanza di sonno causata dal troppo lavoro. Solo pochi giorni prima della sua morte il marito aveva avuto il co- raggio di parlare con il proprio capo circa i propri disturbi di sa- lute: non aveva più appetito, non riusciva a dormire ed era esausto. Una società gerarchizzata Ma perché i lavoratori si lasciano convincere così facilmente a com- piere straordinari oltre le proprie forze fisiche e mentali? Solo dieci anni fa tutti gli analisti di questo fenomeno avrebbero risposto: per mostrare la fedeltà alla loro azienda. Ma oggi la flessibilità la- vorativa è una realtà anche in Giappone, e un impiego a vita per la stessa azienda è un fatto più unico che raro, la risposta va cer- cata nel rispetto che i subalterni nutrono verso i propri superiori. Basta pensare che già a partire dalle scuole medie, cioè ad ap- pena 12 anni, si viene educati al valore e al rispetto assoluto della gerarchia sociale: ogni studente infatti deve rivolgersi al proprio compagno/a di età superiore (ba- sta anche un solo anno) con un linguaggio formale ( keigo ) ovvero mostrando una riverenza implicita già a partire dalla scelta delle pa- role. Questa formalità viene ab- bandonata solo nel caso in cui la persona che si trova nella posi- zione gerarchica superiore ne concede la possibilità. lava veniva semplicemente ab- bandonato. In questo sistema di lavoro molti si suicidavano. Ma il Giappone di oggi non ha ap- parentemente nulla a che fare con quello di un secolo fa, e i gio- vani giapponesi non fanno certo i lavori massacranti dei loro ante- nati, lavori oggi svolti quasi total- mente da immigrati stranieri. In più il curriculum di Matsuri era invidiabile: laureata nella più im- portante università del paese, gio- vanissima, aveva trovato impiego nella più grande agenzia pubblici- taria del Giappone. Nonostante il clamore suscitato dalla sua morte e, conseguentemente, da tutto ciò che di torbido è emerso sulla compagnia per la quale lavorava, sono tantissimi i giovani che an- cora oggi ambiscono lavorare per quell’azienda. Vita e lavoro Una possibile spiegazione di que- sto atteggiamento apparente- mente irragionevole la si può rica- vare da un recente sondaggio. Si è dimostrato come il 90% dei lavo- ratori giapponesi non comprenda affatto il concetto di equilibrio tra tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vita privata, in quanto per molti il lavoro coincide esattamente con la propria esi- stenza: quattro su cinque dipen- MARZO2017 MC 59 MC A © Yoshikazu Taka - flickr com

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