Missioni Consolata - Marzo 2017

MARZO2017 MC 57 in Giappone che prima o poi rice- vono questo tipo di richiesta du- rante la loro carriera. La mattina di Natale (2015) la ven- tiquattrenne ha inviato il suo ul- timo messaggio, diretto alla ma- dre che viveva a Shizuoka, non molto distante da Tokyo. Il testo era un laconico: «Grazie di tutto». La madre, presagendo la disgra- zia, ha chiamato immediatamente la figlia pregandola di non ucci- dersi. Ma neppure la voce di sua madre è stata sufficiente a farla desistere. Karoshi Certamente il concetto di lavorare troppo non riguarda solo i giappo- nesi (in molti altri paesi, e non solo dell’Asia, lavoratori sono sot- toposti a orari da schiavi senza neppure il beneficio di giusti sa- lari), ma in Giappone la questione è presa molto più seriamente, al punto da coniare un termine ad hoc per parlarne. Karoshi , (parola composta da tre caratteri kanji , 過労死 , che signi- ficano letteralmente “eccessivo”, “lavoro”, “morte”), è il termine per definire appunto la morte da troppo lavoro. Le cause di morte possono essere attacchi di cuore o ictus risultato di lunghi periodi di stress. Spesso però il super lavoro porta diretta- mente al suicidio, fenomeno per il quale esiste un’altra parola speci- fica, 過労自殺 , karojisatsu . E mentre il Giappone sta tentando di aprire ai nuovi migranti (per lo più cinesi e filippini) per bilanciare il declino delle nascite e dunque delle nuove generazioni che si af- facciano sul mondo del lavoro, an- che gli stranieri cominciano a tre- mare per i trattamenti a cui po- trebbero essere sottoposti, ve- dendo quanto è accaduto recen- temente a una filippina di venti- sette anni che ha fatto karoshi . I suoi straordinari avevano toccato il picco di 123 ore in un mese. passo per passo il lungo calvario: dalla grande euforia iniziale per essere stata assunta da una grande azienda, sino ai messaggi finali, quelli che in rete sono di- ventati virali. È da questi ultimi che si capisce distintamente lo strazio interiore della giovane: «Hanno deciso ancora una volta che dovrò lavorare sabato e do- menica. Ho seriamente voglia solo di farla finita», si legge in uno dei suoi tweet . Una storia di «successo» Matsuri aveva ventitré anni quando è entrata nell’azienda dopo una laurea presso l’Univer- sità di Tokyo (una delle più impor- tanti di tutto il Giappone). Era una ragazza piena di speranza e di ot- timismo, così l’hanno descritta i suoi amici. L’azienda Dentsu aveva ridotto il numero di dipendenti da 14 a sei all’interno della divisione nella quale Matsuri era impiegata. Ma il carico di lavoro non era diminuito. Matsuri aveva iniziato il suo primo lavoro accumulando la bellezza di 100 ore di straordinari al mese. Sul suo micro blog raccontava la crescente fatica di tenere il passo con quei ritmi forsennati: «Il mio capo mi ha detto che i documenti che ho scritto dopo il ritorno dalle vacanze erano spazzatura. Sono mentalmente e fisicamente deva- stata»; «Ho perso ogni senti- mento, tranne il desiderio di dor- mire»; «Forse la morte è un’op- zione molto più felice». Moltissimi giapponesi si sono commossi quando questi tweet sono stati resi noti e hanno la- sciato messaggi di solidarietà. In particolare, numerosi sono stati i messaggi da parte di donne infu- riate nel sapere che a Matsuri, sul procinto di crollare mentalmente e fisicamente, veniva richiesto da parte del capo (di sesso maschile) di mostrare un maggior appeal femminile, e di mantenere un aspetto più attraente. Un tipo di richiesta che non è affatto un caso isolato: sono molte le lavoratrici © Toshihiro Gamo - flickr com • Giappone | Lavoro | Suicidi | Società • MC A A sinistra: Shibuya Crossing a Tokyo. Sotto : in attesa del treno. #

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