Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2017

38 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2017 Da dove tutto partì Nel 1984 Wenzhou, città nella provincia costiera del Zhejiang, da cui proviene quasi il 90% dei ci- nesi in Italia, insieme ad altre zone economiche speciali, venne aperta agli investimenti stranieri, grazie alle riforme promosse da Deng Xiaoping. Da quel momento l’arrivo di capitali, la possibilità di lavorare e di condurre buoni affari, ma anche la possibilità di ottenere finalmente un passaporto per emigrare, divenne il tema di discussione tra amici e parenti. La stragrande maggioranza aveva già un mestiere e non emigrò per disperazione. Il progetto era quello di andare a lavorare presso i parenti o co- noscenti già presenti da tempo in Italia o in altri paesi europei, seppur in numero esiguo, dai quali ricevere un supporto concreto all’inizio, per ten- tare in seguito di aprire una piccola impresa pro- pria. Ovviamente non per tutti fu un successo. Yang Shi: «I miei genitori in Cina avevano una di- screta posizione sociale. Appena abbiamo avuto una possibilità di andare all’estero, subito ne ab- biamo approfittato. Non pensavamo di impove- rirci venendo in Italia e invece ci siamo impove- riti». In quegli anni cominciarono a emigrare venditori ambulanti, falegnami, carpentieri, piastrellisti, muratori, cuochi, camerieri, insegnanti, contabili, ristoratori, baristi, gestori di locali. In un secondo momento sarebbero arrivate le mogli, grazie alla possibilità del ricongiungimento familiare o delle non rare sanatorie decretate dai governi susse- guitisi. Infine i figli, arrivati dalla Cina. Le vie del successo: da Milano a Prato Questa prima generazione di cinesi, detta di nuova immigrazione, arrivò in Italia anche per vie traverse (clandestinamente), grazie ai soldi rac- colti tra i parenti e i conoscenti. Per ripagare il loro debito, gli immigrati di Wenzhou dovevano la- vorare gratis per un certo periodo nei ristoranti o nei laboratori di pelletteria, di maglieria, di tap- pezzeria, nelle ditte per la lavorazione conto terzi di scarpe o di divani dei loro connazionali. Quando il debito veniva estinto, l’immigrato poteva comin- ciare a guadagnare. Inutile dire che, durante que- sto esodo di persone, si verificavano anche casi di corruzione, di ricatto, di sfruttamento, di violenza e di truffa. Tuttavia, l’immigrazione cinese portò sostanzial- mente vantaggi all’Italia. A Prato, ad esempio, il tessile, al momento dell’arrivo dei cinesi, era già in crisi. Le imprese cinesi, anche grazie ai loro modi non sempre trasparenti di lavorare per conto terzi, ravvivarono la produzione, permet- tendo anche oggi alle imprese e ai grandi marchi italiani del settore di avere prezzi concorrenziali su tutto il mercato europeo. Lo stesso fenomeno si verificò a Milano, in zona Paolo Sarpi, che all’ar- rivo dei cinesi già da tempo non era più il vivace quartiere di negozianti e artigiani degli anni pre- cedenti. Sul finire degli anni Novanta la stessa amministrazione concesse ai cinesi le licenze per aprire negozi di vendita all’ingrosso, collegando il quartiere all’import-export con la Cina, che nel 2001 sarebbe entrata nel Wto. Non mancarono momenti di conflitto tra comunità cinese e abi- tanti italiani del quartiere. Oggi la situazione ap- pare sostanzialmente pacificata. Le seconde generazioni I giovani delle seconde generazioni in genere hanno vissuto in Italia con i genitori quando erano molto piccoli, poi rimandati in patria dai nonni per frequentare le scuole primarie e imparare la lingua cinese. Infine, tornati in Italia dopo qualche A sinistra: a Reggio Emilia, nella zona attorno alla stazione ferro- viaria la presenza della comunità cinese è consistente. Pagina se- guente: a Brescello (Reggio Emi- lia), lo storico Bar Peppone, nel centro del paese, è stato rilevato da una coppia di cinesi. D

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