Missioni Consolata - Aprile 2016

Le bande non sono tutte uguali e la maggior parte sono inoffensive Cappellino calcato in testa, auricolari incollati alle orecchie, rosario indossato come un amuleto, pan- taloni larghissimi sotto i quali nascondono un ma- cete, felpa con cappuccio. Slang spagnolo. È que- sto l’identikit dei latinos che i media sono soliti presentarci ogni qualvolta si verifichi un episodio di violenza che ne vede qualcuno protagonista. Il dott. De Liberto si oppone a questo processo di stigmatizzazione: «Come sempre, bisogna fare delle distinzioni. La maggior parte di questi gio- vani sono dei “disadattati” che vivono nell’eco della banda, ne riproducono certi canoni, ma non sono affatto pericolosi. Stiamo parlando di ragaz- zini che si fanno bevute al parco, vanno in disco- teca - a Sud di Milano, in zona Corvetto, un locale molto in voga tra i latinos è il Matinè -, passano il tempo lì, soprattutto alla domenica, ma alle 10 di sera vanno a casa». Più che di bande, in questo caso potremmo par- lare di gruppi di strada, così poco strutturati - a differenza delle pandillas salvadoregne - da racco- gliere anche adolescenti non originari dell’Ame- rica Latina, marocchini, tunisini, ragazze slave, che sono quindi del tutto estranei alla retorica dei giovani latinos, ma dei quali condividono il males- sere e il disadattamento dovuto alla condizione di adolescenti e di immigrati. Il pericoloso «salto di qualità» Solo in alcuni casi l’identificazione con il gruppo e lo stigma sociale portano all’assunzione di un’i- dentità deviante che sfocia nella criminalità. «Il salto di qualità - prosegue De Liberto - si ha quando assumono un soprannome e iniziano a ta- tuarsi, anche in posti molto visibili come la faccia e le mani. Il tatuaggio è il segno di un’apparte- nenza al gruppo che si vuole esibire, che fa sentire forti ed è più importante di tutto il resto. È a que- sto livello che diventano pericolosi, soprattutto tra di loro: dal momento che molti di questi ra- gazzi non sanno nemmeno perché stanno insieme, devono eleggere un nemico, che può essere un ne- mico immaginario o realissimo, come la banda concorrente, verso cui canalizzare l’energia e la violenza, e dare così un senso al loro stare in- sieme». Questi ragazzi sono solitamente i «capi», quelli cui gli altri più giovani e meno organizzati cedono il posto in discoteca alla sera. La dipendenza emotiva dal gruppo e l’assunzione di sostanze (marijuana, cocaina, alcol), sono fat- tori che favoriscono i comportamenti contrari alla legge. «La trasgressione è vissuta come una scelta di gruppo, con la tipica frammentazione delle re- sponsabilità. In sede penale è difficile far capire loro che se in gruppo hanno rubato un cellulare, tutti hanno responsabilità, non solo chi ha mate- rialmente afferrato l’oggetto. Nei percorsi di recu- pero si punta molto a potenziare la capacità di scelta indipendente, anche per aiutare il soggetto ad assumere una sua identità, che lo porti a pren- dere le distanze dal gruppo e, di conseguenza, ad assumere consapevolezza rispetto al reato. Spesso in quella fase riescono a mettersi dalla parte della vittima e a comprenderne il vissuto». Niente a che fare con le bande del Salvador L’assalto al capotreno del giugno scorso costitui- sce un fatto drammatico e inusuale. È infatti raro che i membri delle gang latine di Milano, anche di quelle più strutturate e con connotati più violenti, esercitino una tale violenza nei confronti di per- sone estranee all’arcipelago delle bande. I reati di cui solitamente si rendono responsabili verso «gli esterni» sono rapine, scippi e piccoli furti, finaliz- zati a ottenere i soldi necessari per le feste, la birra e le sostanze stupefacenti. Tutte le testimonianze e gli studi consultati con- cordano sul fatto che, diversamente da quanto av- viene in El Salvador e in altri paesi latinoameri- cani, le bande presenti nel milanese non control- lano il territorio. Le nostre città non sono spazi «vuoti», dove qualche decina di adolescenti e gio- vani può imporre il proprio predominio. «Agli oc- chi della criminalità organizzata autoctona e in- ternazionale - commenta De Liberto -, i leader più pericolosi delle “nostre” bande sono degli strani elementi folkloristici, a cui magari vendere alcol o sostanze, ma di un livello criminale così basso che mai affiderebbero loro attività illegali o il con- trollo del territorio. Oltretutto, a partire dal 2012, le azioni coordinate della Procura minorile e di quella degli adulti, basate sulle indagini e soprat- tutto sulle intercettazioni delle comunicazioni che i membri delle gang si scambiavano tramite mes- saggi, telefonate e Facebook, hanno portato a nu- merosi arresti, favorendo la trasformazione e il processo di involuzione delle bande». D’altra parte, non si può nemmeno affermare che questi gruppi si costituiscano sulla base di un’apparte- nenza territoriale: a differenza delle pandillas lati- noamericane, dove la dimensione del barrio (quartiere) è molto forte, le aggregazioni latine milanesi sono formate da giovani che abitano in APRILE 2016 MC 47 DOSSIER MC | PANDILLAS Marco Molinari/Flickr.com

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