Missioni Consolata - Aprile 2016

46 MC APRILE 2016 e la 18). «I giovani migranti salvadoregni faticano a integrarsi anche tra i loro connazionali adulti», ci spiegano Valentina Valfrè e Chiara Lainati, rap- presentanti di Soleterre, «dal momento che si sono verificati anche qui episodi di minacce e di estorsioni, la comunità salvadoregna ha timore che i nuovi arrivati siano già coinvolti con le pan- dillas . Inoltre, negli ultimi tempi, con l’aumentare della violenza nella madrepatria, stanno diven- tando più numerosi i casi di ragazzini che arri- vano in Italia per fuggire al reclutamento. Se- guono la strada del ricongiungimento o si appog- giano a familiari e conoscenti già emigrati, grazie anche al fatto che un cittadino salvadoregno non necessita di visto per entrare in Italia». Il Centro per famiglie migranti della Ong intercetta molti di questi giovani e, insieme ad altre realtà del terri- torio, li supporta anche nel lungo iter per la ri- chiesta dello status di rifugiato, che però non sem- pre viene concesso. Andrea De Liberto, giudice onorario del Tribu- nale per i minori di Milano, ci racconta di aver se- guito anche casi di padri che, per sottrarre i figli alla violenza e al rischio di reclutamento, abban- donano il proprio lavoro e interrompono il per- corso scolastico dei figli, portandoli dalla madre in Italia e chiedendo poi il permesso di soggiorno temporaneo sulla base dell’art. 31 del d.lgs. n. 286/98, che consente al genitore di restare sul suolo nazionale per assistere i figli minori. La banda come famiglia Trauma da migrazione, marginalità sociale, soli- tudine, disagio adolescenziale sono quindi tra gli elementi che spingono alcuni giovani latinos (e non solo) verso l’arcipelago delle bande. Laddove lo stato, la famiglia, la scuola, le Chiese e le altre agenzie di socializzazione non riescono ad arri- vare, rischiano di svilupparsi forme di socializza- zione alternativa, che possono assumere i carat- teri della devianza o della delinquenza. Eleonora Riva, psicologa transculturale e psicote- rapeuta, responsabile scientifico del Centro Cli- nico Transculturale e Direttore del corso di spe- cializzazione in psicoterapia Transculturale della Fondazione Cecchini-Pace di Milano, ci spiega: «Le bande rispondono a esigenze sociali, culturali, valoriali e bisogni pratici non colmati da altri enti. Il problema è che ci dimentichiamo che esse costi- tuiscono un sistema normativo e di valori che è anche positivo. Lo stare insieme di un gruppo di spacciatori si esaurisce nell’attività criminale, le bande, invece, si costituiscono come una “fami- glia”, come un gruppo sociale, rispondendo di fatto a una serie di esigenze anche formative. Se, nei confronti di un ragazzino che frequenta le bande, agiamo come se appartenesse a un qual- siasi gruppo delinquenziale, otterremo scarsis- simi risultati. Uscire dalle bande è solitamente molto più difficile, per una serie di vincoli e di ri- schi (c’è un dazio da pagare: ad esempio, sei desti- nato a prendere un sacco di botte quando incontri per strada qualcuno del tuo gruppo o dei gruppi avversari), e soprattutto perché nessuno sostitui- sce i benefici dell’appartenenza alla banda, che ri- sponde al bisogno di una famiglia, di valori, di ri- conoscimento sociale». Se è paradossale che le bande siano spesso il luogo in cui questi minori imparano per la prima volta a rispettare delle re- gole, il problema chiaramente è che queste non sempre coincidono con quelle della società che le circonda. Riccardo Cuppini/Flickr.com__Roma

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