Missioni Consolata - Dicembre 2015

DICEMBRE 2015 MC 55 La repubblica popolare di Donetsk appare come un curioso esperi- mento. Un misto di revival sovie- tico, populismo militarista e osten- tata opposizione all’Occidente, che ci si aspetterebbe più dalle parti di Pyongyang che non a po- che centinaia di chilometri dai confini dell’Ue. Con in più una bella dose di iconografia sacra e profana: cartelloni pubblicitari che ritraggono minatori sorridenti illu- minati dal sole dell’avvenire, slo- gan che invitano a prendere le armi per la patria, bandiere con l’effigie del Cristo ortodosso che sventolano sui carri armati e sulle caserme. La Russia e l’annessione della Crimea Se i territori separatisti del Don- bass hanno fatto la loro dichiara- zione d’indipendenza a suon di ka- lashnikov, l’annessione russa della Crimea è stata tutta un’altra sto- ria. Un’annessione senza guerra, ma non per questo meno violenta. Quando il sangue sul selciato della Maidan a Kiev era ancora fresco, i militari russi, nel volgere di un giorno, hanno preso il controllo dei posti chiave, aeroporti, basi militari ucraine, palazzi del potere. Prima di farlo, però, si sono tolti insegne e distintivi dalle divise. Gli ucraini li hanno ironicamente so- prannominati «omini verdi». Il re- ferendum che si è tenuto pochi giorni dopo, definito dagli osserva- tori internazionali «una caricatura della democrazia», ha dato la Cri- mea alla Russia. Con tutti quelli che ci abitavano dentro, russi, ucraini e tatari. E pure qualche ita- liano. Come Anna. Bisnonni di Bisceglie, provincia di Bari, Anna è un’ita- liana di Crimea. Sono alcune centi- naia famiglie che discendono da un manipolo di emigranti di fine ‘800, quasi tutti pugliesi. Uomini di mare, capaci di far andare le navi mercantili sul Mar Nero. Anna fino all’anno scorso abitava a Kerč, la cittadina sullo stretto che separa la Crimea dalla Russia e su cui ora si sta costruendo un ponte per unirla alla nuova madrepatria. «Una mattina ho visto decine di camion pieni di soldati arrivare sui traghetti. Non ho capito cosa stesse succedendo, mi sono chiusa in casa e ho acceso la tivù». Così Anna ha scoperto di non abitare più in Ucraina ma in Russia. «Non sono una patriota ucraina, ma non ho mai nemmeno pensato di es- sere russa». Nessuno nella sua fa- miglia ha votato al referendum per l’annessione. Una rarità ri- spetto a un’affluenza del 84,2%. «La verità è che non so cosa sia peggio. Non abbiamo avuto quasi niente dall’Ucraina negli scorsi vent’anni. Magari ora dalla Russia avremo qualcosa di più». Intanto Anna, prima di trasferirsi in Italia dove vive adesso, ha fatto in tempo a vedere suo padre per- dere il lavoro, il prezzo del pane triplicare, le spiagge svuotarsi di turisti e molti suoi abitanti scap- pare. Soprattutto tra la comunità ucraina e quella tatara. I Tatari a Leopoli Come Khan-Temir. Taqiya in testa, vaporosa barba da hajji , Khan-Te- mir è una specie di vecchio saggio della comunità tatara di Leopoli, nell’ovest dell’Ucraina, dove hanno trovato rifugio circa 2mila tatari. «Ce ne siamo scappati dalla sera alla mattina», dice accarez- zandosi la barba. «Venivano nelle nostre case, di notte. Ci chiede- vano i documenti coi mitra in mano. Anche davanti alle donne e ai bambini. Ce lo hanno detto chiaro, ‘qui non siete più benac- cetti’. Ci hanno imposto la cittadi- nanza russa, qualcuno cominciava ad aver paura di andare alla pre- ghiera». Altri hanno raccontato di intimidazioni più concrete, di pas- saporti stracciati, di arresti immo- tivati. # Sopra: barricate sulla via Hrushev- skogo, in direzione del parlamento, a Kiev. Pagina precedente: schegge di mortaio sulla facciata di una casa nei sobborghi di Donetsk; carro armato ucraino distrutto nella battaglia di Ilovaisk, una delle più cruente di tutta la guerra.

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