Missioni Consolata - Luglio 2014

suno di noi aveva mai fatto e mai vissuto in vita sua. Una Ong avrebbe fatto forse meglio, ma si- curamente più tardi. La Chiesa, invece, è arrivata prima. Anzi: era già qui, non se ne è andata e quasi non si è accorta di restare. E i poveri hanno capito che venire qui era fare la strada più corta e andare nel luogo più sicuro. 13 Dicembre La bella notizia è la visita inaspet- tata del nostro coraggiosissimo arcivescovo Dieudonné Nzapa- lainga. Per la nostra gente è come se fosse arrivato il papa in per- sona. Ci ha trovati al lavoro: chi alla distribuzione del cibo, chi im- pegnato nella pulizia del campo, chi intento a sistemare i teloni di plastica contro la pioggia, chi con- centrato a seguire i malati... Il ve- scovo, venuto con un imam, ha visitato il nostro campo e poi ha fatto un breve ma forte discorso invitando tutti alla pace, alla ri- conciliazione e al perdono. Anche l’imam ha fatto un discorso ana- logo. Come potete ben capire, l’intento di questa visita è stato quello di gettare acqua sul fuoco di uno scontro tra cristiani e mu- sulmani che rischia di incendiare l’intero paese. Vogliamo, pos- siamo e dobbiamo vivere in pace insieme. Il nostro piccolo Carmel vorrebbe essere nient’altro che questo: una scintilla di pace in un grande fuoco di violenza. 24 Dicembre Purtroppo venerdì scorso ci sono stati degli scontri molto violenti in città, in un quartiere piuttosto vicino al nostro convento. Questo ha provocato un improvviso au- mento dei nostri profughi. Come ogni giorno, verso le 7, ci avviamo verso il luogo all’aperto dove ce- lebriamo la messa. Lungo il tra- gitto sentiamo diversi spari, al- cuni molto forti e vicini. Mi do- mando se non sia più opportuno non iniziare la celebrazione per evitare il panico. Ma il canto d’in- gresso è ormai iniziato. Gli spari si susseguono senza sosta. Verrà qualcuno a farci del male? Cele- bro la messa più lunga della mia vita. Ammiro tuttavia la compo- stezza dell’assemblea. Quando gli spari sono più forti, c’è come un sussulto e un gemito collettivo; ma i nostri fedeli non si schio- dano da dove sono. L’eucaristia che celebriamo è la nostra mi- gliore protezione, uno scudo im- penetrabile. Davvero la nostra unica salvezza. La celebrazione continua, ma un fiume di gente che corre impaurita, con poche masserizie sulla testa, raggiunge il nostro sito e ci circonda. Che im- pressione e che sfida questa eu- caristia inerme nel pieno vortice della guerra! La celebrazione ter- mina e, in pochi istanti, ci accor- giamo che i nostri ospiti da 2.500 sono diventati circa 10.000. Ini- zialmente siamo un po’ spaven- tati e ci domandiamo come po- tremo gestire una tale massa di gente. Ma, superato questo ini- ziale smarrimento e sensazione di impotenza, comprendiamo che tutto quello che abbiamo vissuto finora non è stato che un allena- mento per l’avventura che ci sta davanti. 8 Dicembre Abbiamo un po’ di paura per gli uomini. Alcuni sono un po’ agitati e covano sentimenti di rancore. Inoltre, pur essendo i più forti, sono i più minacciati. La Seleka li cerca e li vuole eliminare. Qui da noi si sentono protetti. Il numero dei nostri ospiti supera ormai i 2.100. Per la precisione: 800 bambini con meno di 12 anni (alcuni di pochi mesi); 600 donne (di cui non poche incinte…) e 700 uomini.Nel pomeriggio si organiz- zano delle partite a calcio. Arrivano anche i primi aiuti dal nostro insuperabile Youssouf: un sacco di riso, uno di zucchero e un bidone di olio. Per tutta la giornata andiamo avanti e indie- tro con la radio accesa per capire cosa sta succedendo in città. Due elicotteri sorvolano la nostra zona più volte. Dopo i pasti la no- stra (com)unità di crisi fa il punto della situazione. Condividiamo i problemi e le esigenze dei nostri ospiti, distribuiamo gli incarichi, cerchiamo nuove soluzioni, molti- plichiamo tutto per 2.000 e spe- riamo che funzioni. 10 Dicembre La Croce Rossa internazionale ci informa che ci sono nella città una ventina di siti come il nostro. Anche campi da più di 10.000 profughi. Cosa succede esatta- mente in città è per noi difficile da capire. In alcuni quartieri è co- minciato in modo capillare il di- sarmo dei ribelli. Purtroppo ci sono già due vittime nell’esercito francese venuto a liberarci. Ogni tanto non resisto alla tentazione e faccio un salto in chiesa. L’al- tare è circondato da un giardino di visetti neri e occhioni bianchi. Ma trovo anche Jean, 64 anni, il nostro profugo più anziano che ha visto tutti i colpi di stato del Centrafrica. Tutti mi chiamano mon père , ma lui si è preso giu- stamente il privilegio di chia- marmi mon fils . Ha un piede fa- sciato e cammina col bastone. Poco prima di cena riesco a tro- vargli un letto, un materasso e un cuscino, e lo sistemo nella stanza del capitolo. Da sei giorni an- diamo avanti più o meno così. Stiamo facendo una cosa che nes- CENTRAFRICA 62 MC LUGLIO 2014 © Federico Trinchero

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