Missioni Consolata - Luglio 2014

Vediamo nella concretezza di un luogo, di alcuni sguardi, di oggetti precisi, quello che i libri dicono a proposito dei crimini contro l’umanità: annichi- liscono, annullano, sfigurano le vittime ai loro stessi occhi, le privano di un volto e le riducono per sempre al silenzio. Tutti sanno che quei corpi giacciono lì, eppure per 40 anni è stato negato. Non si potevano nemmeno nominare. E se quei corpi non esistono, non esi- stono gli assassini, e non esiste nemmeno la soffe- renza dei familiari, ai quali qualunque diritto è precluso. Se tutto andrà bene, ci vorrà almeno un anno, forse due, per ottenere le autorizzazioni necessa- rie e procedere all’esumazione. Quel giorno, la psi- cologa del Cpdh sarà a fianco a Silvia che, bam- bina, vide seppellire lì i corpi martoriati del padre e del fratello, consolerà Marta, che spera di ritro- vare i resti del marito, morto tra le sue braccia dopo l’attacco dei militari. Tutta la comunità si stringerà intorno a loro, adornerà con fiori e canti la veglia funebre, affiderà i martiri al Dio della vita. Poi costruiranno un piccolo memoriale, sul quale incideranno i loro nomi, affinché nessuno possa nuovamente negare. E quel giorno non sa- ranno solo i morti ad avere finalmente pace. rico. Egli si sentì chiamato a diventare voce e difesa del popolo oppresso, a costo dello scontro frontale con il presidente, il governo e l’oligarchia. Ciò creò una forte unità tra lui e il clero diocesano che inizial- mente non ne aveva apprezzata la nomina. Romero non giustificò mai alcuna forma di violenza, nemmeno quella rivoluzionaria, poiché violava la sa- cralità della vita umana, rendeva impossibile il dialogo e alimentava la spirale di vedetta. Non poteva però tacere il fatto che fosse la violenza strutturale e istitu- zionalizzata a suscitare quella dei movimenti popolari. L’Arcivescovo non rifiutò mai il dialogo con gli uni o con gli altri, ascoltando e proponendo la via cristiana della conversione e della nonviolenza. Nel 1979 , nel vicino Nicaragua la lotta di liberazione dei sandinisti sconfisse il dittatore Somoza: ciò fece apparire ancora più insostenibile la dittatura militare salvadoregna, che venne rovesciata con un golpe quasi incruento. Una giunta rivoluzionaria , composta di esponenti riformisti dell’esercito e della società ci- vile resistette due mesi e mezzo. Seguì una seconda giunta rivoluzionaria , ma lo scenario non cambiò: in città le manifestazioni erano represse nel sangue, nelle campagne l’esercito e gli squadroni della morte seminavano il terrore tra i contadini. La guerriglia , dal canto suo, rispondeva a questa situazione con seque- stri e omicidi di politici e di membri dell’oligarchia, at- tacchi contro le forze di sicurezza, occupazioni di edi- fici, scatenando terribili rappresaglie che colpivano la popolazione civile. L’arcivescovo Romero prese un’iniziativa senza prece- denti: scrisse al presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, per chiedere di non inviare più aiuti militari a El Salvador, poiché questi sarebbero stati utilizzati per la repressione del popolo. La sua richiesta rimase ina- scoltata. Un mese più tardi, il 24 marzo 1980 , dopo aver ricevuto numerose minacce di morte dagli am- bienti di destra e, in seguito all’appoggio alla prima giunta rivoluzionaria, anche da quelli di sinistra, l’Arci- vescovo Romero fu ucciso mentre celebrava la Messa nella cappella dell’Ospedale presso cui risiedeva, a San Salvador. Le indagini sull’omicidio, a causa di interruzioni, depi- staggi, furti di documenti, uccisioni dei testimoni, non hanno portato alla celebrazione di un processo. Le in- vestigazioni compiute da istituzioni nazionali e inter- nazionali concordano nell’indicare Roberto D’Aubuis- son , fondatore degli squadroni della morte e del par- tito di destra Arena, quale organizzatore dell’atten- tato, su probabile incarico d’importanti proprietari terrieri ed esponenti dell’oligarchia. Il 30 marzo si svolsero i funerali. Tra le 50 e le 100mila persone affollarono la cattedrale e la piazza anti- stante. Non è chiaro se furono i militari o i guerriglieri ad aprire il fuoco per primi, fatto sta che le esequie in- terrotte dell’arcivescovo martire, e i morti calpestati dalla folla terrorizzata segnarono l’inizio di una lunga e sanguinosa guerra civile. DOSSIER MC EL SALVADOR LUGLIO 2014 MC 43 Immagini della Via Crucis del popolo salvadoregno, di Roberto Huezo, esposte nella cappella della Uca, «esprimono il dolore del popolo, come un’immensa croce portata nel suo cammino di liberazione […]. Quat- tordici quadri, nell’attesa del quindicesimo: quello della Resurrezione […] in cui il rosso del sangue si strasformi […] nel rosso dell’aurora. […] Queste crude espressioni artistiche impressionano e, a volte, sorprendono i visi- tatori, che criticano la loro presenza nella cappella. Senza dubbio, questo è il modo in cui Gesù – incarnato nel popolo salvadoregno – percorre oggi su questa terra la sua Via Crucis». (F. Azuela SJ, 1990). © F. Maniscalco

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