Missioni Consolata - Giugno 2014

Foto piccole : immagini di guerra e violenza. Qui a sinistra : una foto degli anni ’80 del muro di cinta (oggi ridipinto con altri soggetti) della missione Mater Dei a Mont Ngafula vicino a Kinshasa, con il ricordo della visita di Giovanni Paolo II nel 1982. Al balcone i padri Tarcisio Crestani e Noè Cereda. DOSSIER MC MISSIONE ZAIRE/CONGO Gli anni di Kinshasa Sono arrivato con l’idea di andare verso il Nord Est, in mezzo alla foresta, là dove i nostri missio- nari sono più isolati. Invece il superiore mi ha pro- posto di diventare viceparroco a Kinshasa, proprio nella parrocchia di San Mukasa che avevo visto in costruzione nell’86. È sembrato un sogno infranto, invece l’obbedienza si è rivelata una benedizione. Fino allora avevo vissuto un’esperienza di anima- zione missionaria senza una responsabilità diretta in una comunità e l’entrare nella pastorale (comu- nità di base, gruppi, giovani, catechesi, scuole…) mi è servito molto. Kinshasa è una diocesi ben organiz- zata, dove la presenza dei laici è veramente l’anima della Chiesa. La forza della nostra enorme parroc- chia (che qualche anno dopo è stata consegnata alla diocesi) erano i laici e padre Santino Zan- chetta, che era il parroco, lavorava molto bene. Sono rimasto là dal ’91 al ’98. San Mukasa è in un quartiere di periferia della grande città di Kinshasa che ha oltre dieci milioni di abitanti. Il quartiere non aveva strade vere e pro- prie e quella che conduceva alla parrocchia era orri- bile, soprattutto durante le piogge. Spesso, come co- munità cristiana, abbiamo cercato di ripararla. Ol- tre la strada mancavano l’elettricità, l’acqua pota- bile, le scuole e i servizi medici e sanitari. La zona, però, non era il classico slum o bidonville , con case poste una sull’altra, senza verde e senza ordine. Era una tipica zona di periferia, con tanto verde, dove ogni famiglia aveva la sua «parcel», un pezzo di ter- reno regolarmente assegnato, con la sua casetta. Case e non baracche, frutto del boom degli anni ’70. Però molte erano incompiute o semi abbandonate perché poi era arrivata la crisi. La dittatura di Mo- butu era in declino e nel ’91, quando sono arrivato, c’era stata una Conferenza nazionale per cercare di fare una revisione di tutti quegli anni e prospettare un cammino di democrazia per il paese. GIUGNO 2014 MC 37 TRE GIORNI DI FUOCO Il 2 agosto 1998 cominciò l’offensiva. La gente del quartiere era terrorizzata e non sapeva cosa fare. Gli uomini erano fuggiti per paura di essere presi dai soldati. Donne e bambini, rimasti soli, si rifugia- rono nella nostra casa. Condividemmo quel po’ di riso e quant’altro rimaneva delle scorte del semina- rio. Un gesto di solidarietà che è stato ampiamente ripagato: in seguito la gente ci ha aiutato, soprat- tutto vigilando sulla nostra casa, affinché non di- ventasse oggetto di rapine e saccheggi. Per tre giorni, tappati in casa, sentivamo le pallot- tole fischiare senza interruzione e senza sapere cosa capitasse fuori. Nessuno fiatava. La notte, poi, senza luce elettrica, tensione e paura diventavano palpabili. Quando si sparse la notizia che i soldati di Kabila avrebbero bombardato Mont Ngafula, la gente cominciò a fuggire all’impazzata verso il fon- dovalle. Una fiumana di persone scendeva la col- lina, ciascuno tirandosi dietro i bambini, una pen- tola, due stracci, in una fuga frenetica e disordi- nata, per arrestarsi di fronte ai blocchi militari. Ad ogni barriera mi sentivo nell’occhio del ciclone: fui minacciato e molestato più degli altri. [...] A uno di quei blocchi non ricordo cosa sia successo: mi trovai inginocchiato per terra, con un mitra puntato alla testa. Un soldato urlava contro i bian- chi, colpevoli di avere alloggiato i ribelli. Col mitra puntato alle tempie, dapprima rimasi muto per l’incredulità; poi stordito e pieno di paura; infine chiusi gli occhi e mi sentii pervaso da una grande pace. Non so quanto tempo restai in quella posi- zione: un minuto o un’eternità. Ricordo solo che, quando riaprii gli occhi, non vidi più nessuno at- torno a me. Mi alzai di scatto e rincorsi la gente, sentendomi risuscitato. Rimasi nel fondovalle per tre giorni. Avrei potuto raggiungere il seminario teologico verso il centro città, ma preferii restare con la gente, accampata sulla strada, senza acqua né cibo, con i bambini che piangevano. I cannoni sparavano contro la collina. [...] La dome- nica, cessato il bombardamento, sperimentai uno dei momenti più commoventi della vita. La gente mi circondò per dirmi: «Grazie, padre, perché sei rimasto con noi» e tante parole piene di amicizia e solidarietà. Poi arrivarono i confratelli che in quei giorni mi avevano cercato, pieni di apprensione per la mia sorte. È stato bellissimo riabbracciarsi. Padre Stefano Camerlengo (Da MC febbraio 2000, pagg. 22-23)

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