Missioni Consolata - Dicembre 2013

50 MC DICEMBRE 2013 OSSIER L a Colombia vanta il caffè migliore del mondo, così come gli smeraldi; è chiamato il «paese-continente» per il mosaico di climi presenti nel suo territorio; detiene il primato per la biodiversità per metro qua- dro. Nonostante questi e altri elementi, per i quali dovrebbe essere una delle mete più ambite del turismo mondiale, la Colombia è universalmente nota come il «paese della cocaina» nel quale si combatte uno dei conflitti armati interni tra guerriglia e parami- litari/esercito più lunghi della storia dell’America La- tina, con effetti devastanti sulla popolazione civile. Quattro milioni di sfollati interni, sei milioni di ettari di terra usurpati, 15mila persone torturate, 50mila scom- parse, 80mila esecuzioni extragiudiziarie, 1.282 massa- cri, 11mila bambini soldato. LA LEGGE DI GIUSTIZIA E PACE E LA DOMANDA DI VERITÀ È interessante allora, e anche sorprendente, notare come in un paese così scosso dalla violenza si stiano diffondendo iniziative governative e della società ci- vile improntate ai principi della giustizia riparativa. Due esempi emblematici sono la Ley de justicia y paz e la Ley de víctimas y restitución de tierras . La prima, voluta dal presidente Álvaro Uribe Vélez nel 2005, che aveva come finalità quella di offrire una fuoriuscita rapida e indolore ai paramilitari, basan- dosi sui principi della giustizia riparativa (pace e ri- conciliazione), è stata però profondamente innovata dalla Corte costituzionale sulla base dell’evoluzione del diritto penale internazionale (non applicazione di indulto e amnistia ai crimini internazionali) e della giustizia di transizione, ovvero dei diritti delle vit- time (diritto alla verità, giustizia, riparazione, garan- zia di non ripetizione dei crimini). Tale legge ha per- messo a 50mila paramilitari di smobilitarsi e reinte- grarsi nella vita sociale attraverso programmi appo- siti. A coloro che invece avevano commesso crimini di guerra e contro l’umanità (4mila persone) ha dato accesso a un sistema penale ad hoc : al posto di una pena carceraria di almeno 30 anni, una pena deten- tiva ridotta a 5-8 anni, alla condizione di raccontare tutta la verità sui delitti commessi. La principale particolarità di questo procedimento è che durante le udienze in cui il reo racconta la verità, le vittime sono presenti in un’altra stanza, hanno la possibilità di ascoltare in diretta quanto viene confessato, e pos- sono porre domande ai carnefici in merito alla sorte dei propri cari. Sovente accade che i rei chiedano perdono per i crimini commessi e che le vittime tro- vino pace sentendosi riconosciute, oltreché per es- sere finalmente divenute consapevoli di quanto è successo. Si tratta dunque di un sistema penale alternativo che affianca alla pena detentiva la ricerca di una risposta alla domanda di verità delle vittime. In più intende favorire la risocializzazione del reo permettendogli di riconoscere le sue responsabilità e accompagnan- dolo nel percorso di reinserimento nella società. NELLA COLOMBIA DEL CONFLITTO PERMANENTE RICONOSCERE LE VITTIME T ESTO E FOTO DI C AROLINA B EDOYA M AYA Nel paese del narcotraffico e della guerra civile più duratura dell’America Latina, al- cune idee e pratiche di giustizia riparativa si fanno strada. Anche come strumenti di un’auspicata chiusura del conflitto. E alcune politiche (troppo ambiziose?) puntano a reintegrare i paramilitari, a far emergere le verità delle tante violenze, a riconoscere le vittime, alla restituzione delle terre, a consolidare la memoria.

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