Missioni Consolata - Dicembre 2013

reato. Ha l’ambizione di promuovere responsabilità individuali e collettive per reintegrare il colpevole e la vittima. Sì, perché anche la vittima ha bisogno di essere risocializzata. A volte addirittura di essere “rieducata”: può capitare, infatti, che la vittima ap- partenga allo stesso mondo deviante del reo. Nell’o- pinione pubblica in genere c’è l’immagine della vit- tima buona, onesta, che subisce improvvisamente qualche cosa, mentre il reo è cattivo, ma raramente la realtà è così netta». QUALCOSA DI SCANDALOSO Nel suo saggio Appunti per una teoria dignitosa del diritto penale scrive: «La giustizia riparativa può arrivare addirittura a ridisegnare una nuova geometria della giustizia». È davvero così rivolu- zionaria? «La giustizia riparativa costringe a guardare al pro- blema del crimine e al tema della giustizia con occhi nuovi. Essa ha qualcosa di scandaloso: “Ma come? Reo, vittima e comunità insieme dopo un reato?”. Tutto l’itinerario millenario della giustizia fino a ora ha diviso il reo dalla vittima, e ha ripetuto sul reo il male che egli aveva fatto alla vittima. La giustizia ri- parativa invece propone: “Mettiamoci insieme, vo- lontariamente, per pensare a qualcosa di diverso”. È dirompente parlare di un intervento libero, volon- tario e consensuale dentro la giustizia penale, la quale in genere è invece il luogo della coercizione le- gittimata, della privazione della libertà. È proprio un prendere la giustizia così com’è oggi e rove- sciarla». Quali sono gli strumenti della giustizia riparativa? «La mediazione diretta, o indiretta, tra autori e vit- time di reati, i community circles , i family group conferences . Sono programmi costruiti intorno al- l’incontro a tu per tu, oppure allargato ai compo- della Magistratura. Incontriamo diversi “mondi”, e dovunque troviamo interesse. Sempre. Anche per- ché la giustizia riparativa solleva la domanda più ge- nerale di giustizia, che riguarda chiunque. Il cardinal Martini diceva che nessuno sa bene cosa sia la giustizia, ma tutti sappiamo molto bene cosa sono le ingiustizie. E la giustizia riparativa è un iti- nerario in cerca della giustizia a partire dalle ingiu- stizie. Lavora su quello che è andato storto per ripa- rarlo. Non è un lavoro campato in aria. È, anzi, con i piedi saldamente per terra. Tanto da occuparsi della quo- tidianità materiale dell’autore del reato e della vit- tima: ci capita negli incontri di mediazione di dedi- care ore a definire le regole di saluto, di distanza o di vicinanza, di comportamento: “Cosa succede se do- mani vi incontrate per strada o sull’autobus?”. La giustizia riparativa ha anche quest’attenzione: da domani che cosa succede? Autori e vittime di reato sono portatori di domande, bisogni, speranze, aspettative che intrecciano il pas- sato prima del reato, il momento del reato, il pre- sente e il futuro. Allora noi chiediamo a vittime e rei di esprimere che cosa c’è nel loro oggi e com’è possi- bile lavorare costruttivamente sul domani, senza di- menticare ciò che c’era prima del reato, né il fatto che un reato è stato commesso, che qualcuno lo ha agito e un altro lo ha subito». RISOCIALIZZARE IN GABBIA? «Questo lavoro sul futuro è una cosa che la giustizia penale tradizionale non può fare perché è tutta re- trospettiva: anche quando condanna una persona al- l’ergastolo, cioè determina l’interezza del suo futuro, è tutta ferma sul reato, sul passato. È solo dopo l’ini- zio della detenzione che compare un educatore, un assistente sociale che dice: “Beh, adesso pensiamo alla rieducazione”, che vuol dire ritorno in società. Ma qui spuntano le incoerenze della giustizia: come parlare di rieducazione a uno che sta in una gabbia, o di risocializzazione quando tra la persona condan- nata e la società ci sono un muro di sei metri, un muro di cinta, uno di intercinta, il blindo, le sbarre, eccetera? Come si può parlare di risocializzazione se la società è esclusa dal contatto con il reo? La riparazione è qualcosa che nasce dall’incontro e dal dialogo costruttivo sugli effetti distruttivi del 42 MC DICEMBRE 2013 OSSIER Come parlare di risocializzazione quando tra la persona condannata e la società ci sono un muro di sei metri, un muro di cinta, uno di intercinta, il blindo, le sbarre, ecc.? Anche la vittima ha bisogno di essere risocializzata. Si [può] chiamare giustizia riparativa solo ciò che porta le persone a incontrarsi volontariamente e liberamente. “ ” “ ” “ ” © The Seed

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