Missioni Consolata - Dicembre 2013

nenti delle famiglie dell’uno e dell’altra, alle comu- nità. Questi sono gli strumenti. Ma la cosa fonda- mentale è che si possa chiamare giustizia riparativa solo ciò che porta le persone a incontrarsi volonta- riamente e liberamente. Quando un magistrato im- pone un lavoro di pubblica utilità, può fare una cosa bellissima, ma non è un programma di giustizia ri- parativa, è una pena. Quando una persona svolge un lavoro di pubblica utilità che corrisponde a un la- voro fatto sulla sua dignità, in dialogo con le vittime, con la comunità, e quindi il soggetto sente di ripararsi, e non solo di riparare, e lo sceglie liberamente in dialogo con altri, questa è giustizia riparativa. Altro elemento è che gli incontri sono liberi, aperti, quindi si costruiscono anche in base a ciò di cui si sente il bisogno. La presenza di un me- diatore è importantissima. Anche per- ché il facilitatore rappresenta a sua volta la comunità, e fa sì che le persone non siano sole, sta con loro, e accoglie entrambe le parti con dignità e rispetto, anche se ha di fronte una persona grave- mente colpevole». SUDAFRICA: LA VERITÀ È PIÙ IMPORTANTE DELLA PENA Questa nuova idea di giustizia potrà mai realizzarsi? «Non potremo mai mettere fine al problema della giustizia. La giustizia riparativa rimarrà sempre un’aspirazione. Però ha già prodotto dei grandi risul- tati: l’esperienza del Sudafrica, ad esempio. Nel mo- mento più drammatico in cui, finito l’ apartheid , si sarebbe potuta scatenare una vera guerra civile, Nelson Mandela, e poi Desmund Tutu e gli altri che hanno costruito la Commissione verità e riconcilia- zione hanno sostenuto a gran voce che se gli op- pressi si fossero fatti giustizia in modo “tradizio- nale” sugli oppressori, avrebbero riprodotto la stessa violenza che avevano subito, impedendo l’u- nità del popolo arcobaleno. E quale giustizia poteva affermare l’unità dopo la separazione e la segrega- zione dell’ apartheid ? Una giustizia non retributiva dove la verità è più importante della pena. La giustizia punitiva è reo-centrica, ed essendo pu- nitiva non può chiedere all’autore del reato di dire la verità. Il diritto dice che l’accusato non è tenuto a dire la verità, perché se la dicesse andrebbe incon- tro alla pena. Il Sudafrica ha dovuto scardinare il meccanismo della pena per chiedere la verità». La verità è «terapeutica»? Affermarla, riconoscere ciò che è accaduto, di per sé realizza la giustizia e lenisce le ferite? «Possiamo dire che la verità può fare molto più di una pena. Poi probabilmente ci sono persone, vit- time, comunità che sentono che nelle sedute della Commissione la verità non è stata detta abbastanza, e che non si sentono risanati da quella verità. Ciò che possiamo dire senz’altro è che alle vittime e alle comunità vittimizzate, quel percorso non ha tolto nulla. Ha aggiunto semmai qualcosa di positivo. Se ci fosse stato un percorso di giustizia tradizionale quelle persone non avrebbero ottenuto di più. Anche solo perché la giustizia penale tra- dizionale è molto selettiva: soprattutto dove ci sono state delle atrocità massive non può arrivare a processare e a pu- nire tutti quelli che in una logica re- tributiva lo meriterebbero». UNA NOVITÀ ANTICA La giustizia riparativa è una «sco- perta» recente o se ne conoscono espe- rienze in tempi e società del passato? «È una scoperta, però è anche una riscoperta. Della giustizia riparativa come la conosciamo oggi possiamo identificare l’origine negli anni ‘70 in Canada con percorsi di incontro tra giovani autori di reato e le loro vittime. La pratica, che aveva dato buoni risultati, si è poi espansa nel DICEMBRE 2013 MC 43 MC GIUSTIZIA RIPARATIVA Quale giustizia poteva affermare l’unità dopo la separazione e la segregazione dell’ apartheid ? Una giustizia non retributiva dove la verità è più importante della pena. La giustizia punitiva è reo-centrica, ed essendo punitiva non può chiedere all’autore del reato di dire la verità.. “ ” “ ”

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