Missioni Consolata - Giugno 2013

Il vescovo di Recífe, dom Hèlder Cámara, un grande profeta del sec. XX, soleva dire: «Quando dico che bi- sogna aiutare i poveri sono un “santo”, quando dico perché esistono i poveri sono “comunista” ». Se uno si limita a fare l’elemosina, magari coinvolgendo i ricchi, riciclatori ed evasori, ma senza interferire, tutti lo aiu- tano; se invece grida contro le ingiustizie che creano l’elemosina, contro l’evasione fiscale che ruba e de- preda la collettività dei servizi primari (scuola, sanità, stato sociale), è facile che resti solo e sia tacciato di sovversivismo. Per molti cristiani, vescovi e prelati, spesso Dio è un alibi, un modo comodo per girarsi dall’altra parte e non vedere, come il sacerdote e il le- vita della parabola del Samaritano nel vangelo di Luca (cf Lc 10,25-37). QUANDO IL SILENZIO È COMPLICITÀ Se si accettano i benefici economici (denaro, leggi su misura o peggio ancora leggi di scambio), non si può contestare lo stato o il governo di turno, i quali hanno il diritto di emanare le proprie leggi e di pretendere che siano osservate. Lo stato può esigere obbedienza da chi usufruisce dei vantaggi della sua protezione (cf Rm 13,1-8; Tt 3,1-3; 1Pt 2,13-14). È quello che è suc- cesso in Italia negli ultimi venti anni: parte della ge- rarchia cattolica ha appoggiato governi e politici che sono stati (lo sono di natura) l’opposto della legalità, della moralità privata e pubblica come del «bene co- mune», pagando il prezzo di un silenzio assordante e l’allontanamento di molti credenti anche dalla fede. Non si può essere profeti e legati alla mangiatoia del potente, come i veggenti di corte combattuti dal pro- feta Amos nel sec. VIII a. C. (cf Am 7,10-16). Persone di pensiero che non possono essere conside- rate «rivoluzionarie» e che hanno svolto funzioni e ruoli di prestigio all’interno della Chiesa cattolica, non esitarono, «voce che grida nel deserto», a parlare apertamente e ufficialmente di fronte «al silenzio dei vescovi». Il gesuita padre Bartolomeo Sorge, già diret- tore de «la Civiltà cattolica», la rivista quindicinale dei gesuiti italiani che nulla pubblica senza l’approva- zione della Segreteria di Stato vaticana, direttore del «Centro Studi Pedro Arrupe» di Palermo negli anni ’80 del secolo scorso e ultimamente direttore della prestigiosa rivista «Aggiornamenti sociali» di Milano, stretto collaboratore di Paolo VI e della Cei per i con- vegni a cadenza decennale e uomo di grande pru- denza, nel marzo del 2004 scriveva: «Il rimanere in silenzio di fronte alla gravità della situa- zione italiana non appare motivato. I vescovi non pos- sono esimersi dall’illuminare le coscienze dei fedeli sulla coerenza o meno con la Dottrina sociale della Chiesa dei programmi politici che nel Paese si confron- tano. È sempre valido l’ammonimento di san Gregorio Magno: come “un discorso imprudente trascina nell’er- rore, così un silenzio inopportuno lascia in una condi- zione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto” (in Regola pastorale , Lib. 2, 4; PL 77, 30)». (B. Sorge, Il silenzio dei vescovi sull’Italia , in «Aggiornamenti sociali», Vol. 55, n. 3, marzo 2004, pp. 161-166). Consapevole che le sue parole sarebbero apparse forti se non dissacratorie alle orecchie degli interes- sati e delle persone pie di professione in qualche gruppo interessato perché connivente, egli fece ri- corso all’appoggio di un vescovo e cardinale della sta- tura e della caratura di Carlo Maria Martini, unica voce fuori del coro nel panorama della diaspora epi- scopale italiana. Egli il 6 dicembre 1995 (già nel mil- lennio scorso!), in occasione della festa di Sant’Am- brogio, nel discorso alla città dal titolo C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare , disse testual- mente: «La Chiesa non deve tacere perché [in Italia] è in gioco la sopravvivenza dell’ethos politico. Non è la Chiesa come tale a essere in pericolo; è la natura stessa della politica e quindi della democrazia. Non è dunque questo un tempo di indifferenza, di silenzio e neppure di distaccata neutralità o di tranquilla equidistanza». Padre Sorge, forte di questo assist , espresse tutta la sua preoccupazione per la situazione esplosiva che si era prodotta in ambito ecclesiale. «La necessaria equidistanza dagli schieramenti partitici non significa neutralità di fronte alle implicazioni etiche e sociali dei diversi programmi politici. Infatti, il silenzio in tal caso potrebbe indurre i fedeli a credere che tutti i modelli di società, per il solo fatto di essere formalmente «democratici», si equivalgano e che i cristiani possano indifferentemente aderire all’uno o all’altro, purché si comportino con coerenza di fronte alle singole scelte. Il sospetto che la profezia sia frenata dalla diplomazia, cioè dalla speranza di vantaggiose contropartite per il bene della comunità ecclesiale e in difesa di alcuni valori etici, si tratti dei sussidi alle scuole cattoliche o dei finanzia- menti agli oratori o dei buoni-famiglia» (Sorge B., ivi). QUALE RAPPORTO TRA FEDE E POLITICA? Il cristiano, sia esso vescovo o semplice credente, vive nella prospettiva del Regno di Dio e sa che nella ge- stione delle realtà terrestri deve essere «prudente», senza cercare scorciatoie e protezioni o favori e racco- mandazioni perché il suo agire è prova diretta del suo essere e della sua fede. Mai deve dimenticare che ovunque egli sta, porta sempre con sé «l’immagine di Dio», di cui è custode e responsabile. Nessun governo sulla terra potrà mai essere «ade- guato» alle esigenze del Vangelo, per questo il cre- dente starà a casa sua all’opposizione di ogni potere GIUGNO 2013 MC 33 MC RUBRICHE Rendete a Cesare - 4 # Il gesuita padre Bartolomeo Sorge.

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