Missioni Consolata - Giugno 2013

capo di stato, cioè del politico. Con un solo gesto ha detto al mondo intero: Cesare è Cesare. Dio è Dio. Vengo a voi come «immagine di Dio» non come po- tente tra i potenti. Il Vangelo di per sé non pone un’opposizione tra «Ce- sare» e «Dio», né determina i confini tra le due sfere, né tanto meno dice che c’è una sfera d’influenza di Dio e una d’influenza di Cesare. Questo ragionamento è estraneo al pensiero di Gesù perché illogico: il re- gno di Dio, infatti, pur non confondendosi con il regno di Cesare, non è fuori dal territorio e dall’umanità su cui governa Cesare. Gesù non parla di separazione tra «stato e Chiesa»: questa è un’indebita conclusione estranea al testo, come se vi fossero due autorità equipollenti, distinte, ma convergenti che si dividono la torta umana. La parte spirituale alla Chiesa e la parte materiale allo stato, come si è tentato di fare nel Medioevo attraverso le investiture dei re da parte del papa, fino a quando Bonifacio VIII, nel giubileo del 1300, non pretese di assumere per sé le due funzioni (la teoria delle «due spade»). Questo ragionamento è tipico di una concezione della società come «cristianità», in cui la visione teologica e la morale di una confessione religiosa diventano pa- trimonio esclusivo di quella società che le impone an- che con la forza o con la semplice legge. È la prospet- tiva cristiana della vita e del mondo applicate alle realtà terrestri senza distinzione di sorta; in questo senso la Chiesa detta le regole e i laici le applicano come «braccio secolare» come si è manifestato nel regime di «cristianità» di stampo medievale, quando il potere religioso appaltava al potere politico parte dei propri compiti scellerati. Poiché il comandamento or- dina: «Tu non ucciderai» (Es 20,13), l’Inquisizione non si sporcava le mani, ma appaltava le uccisioni al brac- cio secolare, così si ammazzavano lo stesso le per- sone, quasi sempre innocenti, ma non erano i preti a farlo materialmente. È il vero regno della confusione tra stato e Chiesa che storicamente tanti guai ha por- tato e alla Chiesa e allo stato. In quanto cittadini credenti, noi abbiamo diritti e do- veri che sono sanciti dalla Carta costituzionale e li dobbiamo esigere non perché credenti, ma perché cit- tadini. Essi, infatti, non sono una concessione bene- vola del governo di turno. Al di fuori di ciò, dobbiamo essere attenti, come esige il Vangelo: se ci avvaliamo di un condono, significa che abbiamo compiuto un il- lecito e quindi ci collochiamo dentro un clima d’im- moralità. In secondo luogo, diventiamo complici del degrado ambientale o sociale, anche se ne possiamo avere un beneficio immediato. Di conseguenza, non possiamo contestare il governo per immoralità o, in caso di disastro ambientale, gridare contro Dio o la fa- talità, se per esempio abbiamo costruito abusiva- mente, violentando ambiente ed equilibrio ecologico. Se frodiamo il fisco, noi riduciamo i benefici dello stato sociale, rubiamo a noi stessi, alla scuola dei no- stri figli, eliminiamo risorse per la sanità, e di conse- guenza perdiamo il diritto di parlare di poveri e di stato inadempiente, né possiamo andare in piazza a gridare contro gli evasori perché saremmo complici. La fede è esigente, perché impone la coerenza. Nella prossima puntata, termineremo questa lunga digres- sione sul rapporto tra «Cesare e Dio», riflettendo sul testo fondamentale della distinzione «Chiesa e stato» e che è Gv 18,36: «Il mio regno non è di questo mondo». (continua - 4). come coscienza critica del diritto dei poveri e degli emarginati a partecipare alla condivisione della mensa sociale e civile della «polis». Se il credente si schiera con il «potere», qualunque esso sia, finisce per essere complice delle sue scelte e delle conse- guenze che esse comportano. Ciò esige, come dice padre Sorge, profezia e lungimiranza e comporta la ri- nuncia ai privilegi e ai vantaggi importanti o anche ir- risori che lo stato può garantire. In altre parole la se- parazione totale: non può esserci commistione e con- fusione di sorta tra la fede e la gestione immorale del potere politico ed economico. Credere in Dio esige integrità di vita e trasparenza di pensiero che devono vedersi negli atti quotidiani e nelle scelte della vita. Su questo punto anche il magi- stero supremo della Chiesa, che si esprime nel conci- lio ecumenico Vaticano II, è inequivocabile. Insegna il concilio ( sottolineature mie ): «Gli apostoli e i loro successori con i propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo Salva- tore del mondo, nell’esercizio del loro apostolato si ap- poggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manife- sta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali differiscono in molti punti dai mezzi pro- pri della città terrestre... la Chiesa... tuttavia non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legitti- mamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» ( Gau- dium et Spes , n. 76). PRONTI A RINUNCIARE ANCHE AI DIRITTI Il concilio invita a rinunciare addirittura ai «diritti le- gittimamente acquisiti» per non dare motivo di nes- sun dubbio o parvenza di privilegio. Oggi, invece, il privilegio è la norma e la rinuncia una chimera. «Sembra proprio venuto il momento che la Chiesa cattolica recuperi la propria dimensione costitutiva, la dimensione escatologica. E ritrovi la forza della profe- zia, del coraggio, sradicando per sempre dal suo corpo quel male micidiale, il clericalismo, che ne cor- rode l’anima» (Svidercoschi G. F., Il ritorno dei chie- rici. Emergenza Chiesa tra clericalismo e concilio , Dehoniane, Bologna 2012, 10). Queste parole hanno un peso più grave perché sono scritte da un giornalista, Gian Franco Svidercoschi, già vicedirettore de L’Osservatore Romano , coautore con Giovanni Paolo II del libro «Dono e Mistero» (1966) e autore del libro «Verso il 2000 rileggendo il conci- lio», commissionatogli nel 2000 dalla Santa Sede. Egli arriva a parlare «del progressivo decadimento di una certa classe episcopale, tanto nella dottrina quanto nel governo della pastorale» (Id., 27). Gli scandali che hanno coinvolto il Vaticano in questi anni, dallo Ior alla pedofilia fino alle dimissioni di papa Benedetto XVI, non solo sono sintomi, ma anche causa del degrado ecclesiale giunto ormai a livelli insopportabili. È in questo contesto che deve essere letta la scelta di papa Francesco, «il papa venuto dalla fine del mondo», il quale con i suoi primi atti e gesti è stato eloquente e dirompente, per non dire «rivoluziona- rio»: non ha mai usato la «mozzetta rossa», residuo della «clamide rossa» (mantello) dell’imperatore ro- mano che la usava come segno del suo potere regale. Rinunciando a essa, papa Francesco ha voluto distin- guere il servizio del vescovo di Roma da quello del 34 MC GIUGNO 2013 Così sta scritto

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