Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2013

BAHRAIN LA REPRESSIONEIGNORATA A bbiamo incontrato Jasim Husain e Hadi al-Mosawi, deputati del maggiore partito di opposizione del Bahrain, al-Wifaq. On. Husain e al-Mosawi, quali sono le richieste che il vostro movimento e la piazza del Bahrain fanno al re- gime? Al-Mosawi: «La nostra è una domanda di democratizza- zione interna, di partecipazione alla gestione del Paese e della politica. Non stiamo chiedendo la fine della monar- chia degli al-Khalifa, ma un sistema parlamentare vero e un governo che sia rappresentativo del popolo e dei partiti, e la fine della presenza saudita, a livello politico e militare. Vogliamo che le discriminazioni religiose, sociali e profes- sionali finiscano. Vogliamo media liberi e una società at- tiva. E la liberazione dei prigionieri politici. La rivolta è iniziata il 15 febbraio 2011, chiedendo riforme. Noi abbiamo sempre organizzato manifestazioni pacifiche, non-violente, in stile gandhiano, ma il regime ha risposto subito reprimendo, uccidendo». Husain: «Siamo convinti che il Bahrain sia pronto per la democrazia. Il paese ha un alto livello di scolarizzazione. Ci sono tante persone colte, preparate, anche se molti in- tellettuali sono in esilio. La democrazia arriverà, ne siamo sicuri. Il regime attacca i manifestanti, pacifici, distrugge le moschee: ne abbiamo perse 35. Dove s’è mai visto un go- verno musulmano che abbatte le moschee? Le autorità non vogliono che la nostra rivoluzione popolare continui in modo pacifico, vogliono la violenza, così da poterci repri- mere più duramente, ma noi siamo non-violenti. Possono testimoniarlo le tante delegazioni parlamentari e diploma- tiche che arrivano in visita in Bahrain». Qual è la situazione dei diritti umani nel vostro paese? Husain: «Il regime si sta vendicando della rivoluzione in corso. Un’ondata di licenziamenti ha colpito i manifestanti, sia nel settore privato sia in quello pubblico: 4.400 tra ban- cari, insegnanti, impiegati, medici, operai, poliziotti, ecc., sono stati mandati a casa per aver partecipato alle rivolte. Licenziare come rappresaglia non è etico. Le autorità non capiscono che ciò non è più concepibile nel mondo contem- poraneo. Sono rimaste indietro, sono arretrate, mentre la gente non lo è affatto, è colta e non sopporta più un si- stema dove un capo di governo è al potere da 40 anni e dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno». Al-Mosawi: «Il 23 novembre del 2011, il Bici ( www.bici.org.bh ) , Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrain, che monitora la situazione dei diritti umani, ha stilato un rapporto di centinaia di pagine, evidenziando una politica settaria e discriminatoria e un uso eccessivo della forza da parte del regime nei confronti dei manife- stanti. La situazione sta peggiorando: all’inizio, le proteste di piazza avevano motivazioni politiche. Ora sono contro le violazioni dei diritti umani. E poi?». In Occidente, certi media hanno scritto che la rivolta in Bahrain è incoraggiata dall’Iran. Cosa rispondete? H. e M.: «Nel rapporto del Bici non emerge questo. L’Iran non era dietro allo scoppio della rivolta popolare. Noi por- tiamo avanti la nostra lotta per il cambiamento interno, senza ingerenze esterne: vogliamo democrazia, diritti e il rispetto di principi universali, giustizia per tutti». • GENNAIO-FEBBRAIO 2013 MC 47 MC POTERE ISLAMICO sta e di scontro con la Cina». Regime o opposizione, chi vincerà? «L’opposizione non ha testa e non ha un programma. Il regime è ancora molto popolare. L’opposizione al- l’estero ha poche relazioni con quella interna. A com- battere sul terreno sono i jihadisti . Ci sono zone ru- rali arretrate, dove si sono introdotti i salafiti attra- verso la propaganda fondamentalista e l’assistenzia- lismo. Nelle città, invece, il sostegno va all’esercito. Le zone dove si muovono le bande armate è il confine turco-siriano. Mafie libanesi e turche si occupano del flusso di armi e uomini. Assicurano le partenze dei ji- hadisti dallo Yemen, dalla Libia, dall’Afghanistan, ecc., e li fanno entrare insieme ai profughi». I ribelli ammazzano e compiono atti efferati, ma l’esercito regolare bombarda… «L’esercito usa tattiche di assedio, per far uscire la popolazione, poi bombarda per liberare le aree dove ci sono le bande armate dei ribelli (rimane però alto il numero delle vittime civili, ndr ). La cosa più peri- colosa è la presenza dei cecchini. La caduta del re- gime significherebbe islamizzazione e persecuzioni dei cristiani e delle minoranze. Tuttavia, per far ca- dere il regime siriano ci sarebbe voluta una No-fly- zone , che era ciò che avevano chiesto i ribelli, senza ottenerla. Questa situazione di conflitto può durare anni. I cri- stiani sono i maggiori difensori del governo Assad. In Siria l’appartenenza alla nazione è molto forte, e i cristiani sono la più antica comunità. Inoltre, la bor- ghesia cristiana teme l’islamizzazione. Purtroppo, si sta ripetendo lo stesso scenario dell’Afghanistan: an- che lì, come detto prima, l’Occidente usò i salafiti. Quella volta fu contro l’Urss. Ora contro altri. Ma i salafiti sono un giocattolo pericoloso: prendono il controllo e sfuggono di mano». Parliamo di un altro possibile teatro di guerra oc- cidentale-qatariota-saudita: l’Iran. Quale scena- rio intravede nel caso di un attacco? «Da tempo Israele minaccia seriamente di attaccare l’Iran. Tali minacce sono accompagnate da una poli- tica arrogante da parte dell’Occidente. Malgrado non esista alcuna prova della produzione nucleare ira- niana, gli Usa stanno portando avanti una strategia che si riflette negativamente sulla vita del Paese. L’Iran non ha mai mosso le proprie truppe fuori, né è andata ad occupare altri territori né attaccherà Israele, ma - nel caso questo colpisse l’Iran - si apri- rebbero le porte dell’inferno. Perché oggi la supre- © Asmaa Waguih / IRIN

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