Missioni Consolata - Febbraio 2011

FEBBRAIO 2011 MC 73 MC ARTICOLI AI CONFINI TRA CAUCASO CRISTIANO E TERRE ISLAMICHE LA FONTE DEGLI SPOSI Il Samtskhe-Javakheti è da sempre condizionato dalla vicina Turchia. Le leggende narrano delle incursioni dei turchi. Gli antichi abitanti di queste terre assunsero lingua e religione dei conquistatori ottomani. Non senza conseguenze per la loro storia. I n origine c’erano due villaggi, Khiza e Bavra, che sorgevano a qualche chilometro di distanza l’uno dall’altro, circondati da pascoli, al centro di un bel pianoro che si affaccia sulla valle del fiume Mtk- vari. Poi, un bel giorno, gli abitanti di Khiza, decimati dalle ripetute incursioni dei turchi, decisero di abbando- nare le proprie case e si trasferirono presso i loro vicini. Fu così che nacque Khizabavra. Il Samtskhe-Javakheti è una regione nella Georgia sud- occidentale. Da quando nel XI secolo i selgiuchidi con- quistarono l’altopiano anatolico è diventata zona di con- fine tra il Caucaso cristiano e le terre islamiche. Per se- coli la vicinanza dei musulmani ha condizionato la vita delle popolazioni di questa remota parte della Georgia: i turchi arrivavano, razziavano, uccidevano. Si narra di tunnel scavati sotto le case che portavano fino al fiume, a qualche chilometro di distanza. Servivano come vie di fuga o di approvvigionamento d’acqua in caso di attacco. Pare che se ne vedano ancora i resti. A Khizabavra sono rimaste vive leggende che ci parlano della paura dei turchi. A una di queste è legato il nome di due sorgenti che si trovano nei pressi del villaggio, una ai piedi e l’altra in cima al monte che lo sovrasta. Sono dette, rispettivamente, la fonte della sposa e dello sposo. Si racconta, dunque, che i turchi avessero improvvisa- mente assalito il paese proprio mentre era in corso una festa di nozze. Tutti fuggirono precipitosamente, ma la fuga non salvò né la vita della sposa, raggiunta e uccisa per prima, né quella dello sposo, che aveva poco dopo su- bito la stessa sorte. La leggenda non ci dice cosa ne fu de- gli altri partecipanti alla festa. Quando nel XVI secolo la regione fu, infine, annessa al- l’impero ottomano, la pressione fiscale e le altre anghe- rie cui erano soggetti i cristiani spinsero molti a farsi musulmani. I georgiani meskhi, antichi abitanti di que- ste montagne, non solo si convertirono all’Islam, ma adottarono anche la lingua dei dominatori. Per questo motivo in epoca sovietica furono impropriamente censiti come turchi. Tale imprecisione fu loro fatale quando, du- rante la seconda guerra mondiale, per allontanare da zone sensibili popolazioni che non riteneva affidabili, Stalin diede l’ordine di deportarle verso l’interno dell’U- nione Sovietica. Fu così che ben otto popoli stanziati tra il Mar Nero e il Caucaso furono costretti a lasciare i ter- ritori in cui avevano sempre vissuto e a ricominciare da zero a migliaia di chilometri di distanza. Tale sorte toccò anche ai meskhi, perché classificati come turchi, nel mo- mento in cui l’Urss combatteva contro la Turchia. Per loro non valse neppure il diritto a ritornare nei luoghi d’origine concesso nel 1956 a coloro che nel 1944 avevano subito le deportazioni. Anche dopo la fine dell’Urss il loro ritorno è stato in vari modi ostacolato. Sta di fatto che ora in Samtskhe, la terra che porta il loro nome, di meskhi ce ne sono ben pochi. Come tutte le zone di confine, anche questa regione è sempre stata di popolamento misto, con una fortissima minoranza armena, che in Javakheti, costituisce addirit- tura la quasi totalità della popolazione. Bi.Ba.

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