Missioni Consolata - Febbraio 2011

FEBBRAIO 2011 MC 43 pensare quanto questa gente sia aperta verso l'esterno. Mahermut, un bambino di otto anni, mi indica il nome del nonno tra quelli della lista sul muro in lingua ui- gura. Ci vivono da anni in quel vicolo e si conoscono tutti. Mi guida in un giro tra racconti della scuola ci- nese che frequenta e domande su quello che sta lon- tano dal suo mondo ma vicino alla sua immaginazione. Passeggiamo in un sali e scendi tra profumi di pane ap- pena sfornato, spezie macinate dal medico tradizionale per il tè, sangue del montone appena sacrificato ad Al- lah e vapori dei cibi comuni che si trovano per strada: pecora che bolle da ore nel pentolone con odori e spezie, il soffritto per il risotto, gli spaghetti gialli di grano che si servono freddi con verdure, aceto e salsa di sesamo. UN COLLANTE DI NOME ISLAM La città successiva è quella degli artigiani che conti- nuano il mestiere dei loro padri. Balaustre ombreg- giate delle case a due piani di inizio secolo danno sulla strada, e balconate coperte da motivi arabi e colori pa- stello attirano lo sguardo al cielo. C'è chi forgia il ferro creando zappe, lame, falci, picconi, chi batte sulla la- miera per farne casse di ogni dimensione, o i lavandini per i ristoranti e le brocche da giardino, chi fa piatti, teiere o anfore in rame per la casa, chi con il legno mo- della pioli per i letti e per le culle, o una scacchiera con re, regine, cavalli e pedoni. Abili mani tessono tappeti, altre lavorano l'oro, materiale di cui la zona è abba- stanza fornita. Gli uiguri amano l'oro. Le donne portano sulle mani, pitturate di henna , bellissimi anelli intarsiati, intrecci di ricami quasi barocchi. Per le strade o nei mercati le donne sono una delle cose più belle da osservare, nei loro modi, nei gesti eleganti di mani segnate dal lavoro. Occhi scuri di nero kajal , rendono ancora più affasci- nante lo sguardo di quelle che mi vengono incontro. Amano curarsi, amano i profumi e portano, specie nel sud, il velo. Chi annodato dietro la testa a mo’ di copri- capo, chi sotto il mento, chi lascia solo gli occhi allo sguardo altrui. Ce ne sono anche alcune che preferi- scono guardare attraverso la rete del burqa . Tutte mi ricambiano con la stessa curiosità. La figura della donna nella società uigura è centrale e molto particolare, se inserita in un contesto religioso musulmano: gli uiguri già buddisti, hanno adottato l'is- lam in una pratica molto meno stretta rispetto ai paesi arabi. Se è la donna a stare a casa, questa ha anche la libertà di uscire, studiare, e può scegliere di non por- tare il velo, come succede spesso tra le più giovani. Ancora più a Sud, Hotan la descrivono come uno dei posti più duri per i forestieri, in quanto là gli uiguri sa- rebbero più chiusi nei dogmi religiosi. Al mio arrivo quasi non ne vedo. La statua di Mao e Kurban Tulun, l'eroe uiguro della rivoluzione cinese, governa piazza dell'Unità. È l'unico monumento in tutta la Cina che vede il vecchio Mao in compagnia. Nelle strade passano i taxi, i camion dei supermercati, quelli che portano macchine nuove o petrolio, passano bus enormi, pas- sano camionette blindate della polizia. Tutte superano un carretto, che ben accostato al marciapiede prosegue lento per la sua strada. Lo trascina un mulo guidato da un vecchio uiguro che indossa un copricapo con ricami verdi, tanto popolare tra questa gente. Osservo e mi chiedo dove sia il suo mondo. Sul carro, donne, bambini, ragazzi uiguri che usano questo come taxi, dalle zone più periferiche. Al ritorno dal bazar della giada di Ho- tan, dove ogni venerdì e domenica, è mercanteggiata giada verde, bianca, nera, rosa, di fiume o di montagna, seduta sui tappeti ben piegati, per cinque mao (pari a cinque centesimi di euro), vedo le strade passare dal lato opposto: la periferia di case basse, ristoranti e lun- ghi barbecue per arrostire la carne di pecora venduta a tutti gli angoli, gli uomini che fanno la fila dal barbiere, le donne sulle scale di una moschea che offrono il loro acidissimo yogurt. E ancora forni rialzati per cuocere i tanti tipi di pane, sui quali i panettieri si chinano e con un gesto antico millenni mettono dentro l'impasto a forma di pizza con sesamo e cipolla. Camminando tra la gente per questa terra, ho l'impres- sione che sia chiusa: le seconda domanda che rivolgono allo straniero in genere è: «Li conoscete gli uiguri al tuo paese? Ce ne sono?», «Beh... ora un po’ di più», la rispo- sta imbarazzata dalla consapevolezza di quanto in Occi- dente non sappiamo. Perché degli uiguri se ne sente parlare da poco tempo e solo se ci sono rivolte o atten- tati. Anche in Cina. ALLA «GUERRA» DELLA LINGUA I fatti dell'11 settembre e l'inserimento del «Partito isla- mico del Turkestan orientale» nella lista nera dei terro- risti stranieri da parte del governo statunitense e delle Nazioni Uniti nel 2002, hanno fornito ai cinesi i presup- posti formali per campagne antiterroristiche in queste zone. Ma questa è un'altra storia 3 . Gli uiguri sono lontani, da Pechino e dal mondo. Dai loro cortili al mondo, si passa comunque per la Cina. D'al- tronde sono cinesi. Sono però «i cinesi meno cinesi». MC I CINESI NON SONO...

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